Caccia e Ambiente

La caccia, se praticata secondo princìpi scientifici e nel rispetto delle leggi, può essere uno strumento di gestione delle specie selvatiche?

carabinieri.it – Il cacciatore contemporaneo deve essere responsabile nel prelievo e rispettoso delle norme. La tradizione mitteleuropea rappresenta il termine culturale di riferimento cui spesso si guarda per la gestione della selvaggina nobile.

Le statistiche più aggiornate riferiscono che in Italia sono attivi 470mila cacciatori. Tanti o pochi che siano, rappresentano i superstiti di un movimento che, negli anni Ottanta del Novecento, contava quasi 2 milioni di persone. Tanti, probabilmente troppi per un ambiente vessato da numerose emergenze. L’ambiente è una realtà in continua evoluzione ed è quindi periodicamente necessario riconsiderare sia l’impatto della caccia sul territorio, sia il ruolo del cacciatore nel suo rapportarsi con la natura. Oggi il cacciatore italiano paga il deficit di credibilità prodotto da chi l’ha preceduto, che ha fatto un uso opportunistico della terminologia legata all’ambiente e si è gravemente disinteressato delle tematiche ecologiche. Una situazione che ha prodotto nei confronti della caccia e dei cacciatori un clima di sospetto che trascende spesso nella condanna senza appello. Tutto ciò accade nella mancanza di dialogo tra il mondo della caccia e quello dell’ambientalismo, anche moderato. Questa è la realtà italiana. Molto diversa da quella di altre nazioni, principalmente del centro e del nord Europa, dove tra il mondo venatorio e quello dell’ambientalismo c’è spesso un patto che va oltre la “non belligeranza”, e può essere addirittura di collaborazione su tematiche che coinvolgono sensibilità tra loro differenti.

La questione si gioca nelle premesse. Conservazione, un tema caro alle battaglie ambientaliste, implica letteralmente il mantenimento di una determinata condizione ed è un termine che ha due accezioni piuttosto differenti. Quella propugnata dall’ambientalismo più intransigente mira alla preservazione radicale delle risorse naturali inibendone di fatto la fruizione da parte dell’uomo, quella moderata preferisce ipotizzare un utilizzo non indiscriminato delle risorse, senza però modificare il rapporto tra queste e l’uomo. È evidente che per chi appartiene alla prima corrente di pensiero non ci possa essere spazio per l’attività venatoria. Diverso è il discorso per chi aderisce alla seconda, e spesso è consapevole che un esercizio venatorio correttamente inteso può essere considerato una forma di conservazione.

In determinati contesti il cacciatore è accompagnato da un esperto del territorio che facilita il prelievo del capo indicato nel piano di abbattimento. Oltre alla licenza di caccia generale, che si ottiene mediante un esame teorico, il cacciatore di selezione deve passare altri esami e ottenere abilitazioni

LE LEGGI

La caccia oggi è regolamentata da norme nazionali, che in Italia si riferiscono alla legge quadro 157 del 1992, e da trattati internazionali che ne riconducono la gestione all’aspetto sovranazionale, così come imposto dalla preservazione delle specie migratorie, che non conoscono confini e vanno tutelate ovunque. L’obiettivo è quello di conservare la salute delle specie oggetto di prelievo e di gestirle in maniera tale da tutelare la biodiversità, una ricchezza che è di tutti.

È un dato di fatto – evidenziato scientificamente da organizzazioni super partes – che, là dove una specie è in pericolo, le cause principali sono perdita di habitat a causa di incuria, cementificazione selvaggia e incendi, spesso dolosi, corruzione (un fenomeno purtroppo endemico non solo nei Paesi in via di sviluppo) e, talvolta, cattiva gestione della caccia.

Tra le attività illecite più impattanti e dannose c’è il bracconaggio, che con la caccia e l’etica del cacciatore non ha nulla da spartire. Questo indifferentemente a casa nostra – in pianura, sulle Alpi e sull’Appennino – come in Africa.

All’interno di un perimetro legislativo supportato dalla scienza, che definisce le sue competenze, il cacciatore riveste un ruolo per il mantenimento dell’equilibrio delle specie e, quindi, della biodiversità. Se correttamente intesa e praticata, la caccia diventa una forma di gestione con valenza sociale. Per arrivare a consolidare il suo ruolo, il cacciatore italiano ha percorso un lungo cammino di consapevolezza, che dalla caccia indiscriminata di alcuni decenni fa è passato a una vera e propria attività di gestione. Da una parte c’è la caccia programmata, soprattutto quella alla fauna migratoria, ambito in cui il cacciatore ha un ruolo cruciale nel valutare lo status delle specie come ad esempio nel caso della beccaccia, oggetto di molteplici studi, a cui i cacciatori e le associazioni venatorie partecipano fattivamente. Poi c’è la caccia di selezione, quella che si pratica sugli ungulati. In questo caso il prelievo può diventare a volte necessario. Il cacciatore diventa davvero collaboratore nella gestione faunistica e nella tutela delle colture agricole provvedendo – mediante l’attuazione dei piani di prelievo elaborati secondo le Linee guida per la gestione degli Ungulati, redatte nel 2013 dall’Ispra – al mantenimento di un equilibrio di cui beneficia la comunità, altrimenti vessata dal susseguirsi delle varie “emergenze-cinghiale” e dai danni che i selvatici producono alle attività economiche. E che crescono insieme a quel processo di rinaturalizzazione del territorio a cui si è assistito negli ultimi 100 anni.

IL VALORE DELLA NATURA

La natura ha un valore morale per tutti e bisogna quindi prendersene cura a vantaggio non di una sola categoria, siano i cacciatori o gli ambientalisti più estremisti. Il cacciatore, in questo nuovo contesto gestionale, ha una responsabilità importante.

Deve avere il coraggio di mettersi continuamente in discussione e di aggiornarsi, ad esempio rinunciando a pratiche (come l’uso del piombo, metallo tossico) che il principio di precauzione vorrebbe che si eliminassero. Deve essere sentinella del territorio denunciando le attività illegali – soprattutto se perpetrate da colleghi che per egoismo decidono di trasformarsi in bracconieri – e rispettare le regole stabilite dal calendario venatorio e da tutta la normativa in materia. Il cacciatore, in particolare in un’epoca in cui la natura è diventata sconosciuta ai più, deve avere la capacità di mettersi a capo di un movimento che guardi al benessere dell’uomo e delle sue necessità nel rispetto dell’ambiente. Essere cacciatori è un onore che porta con sé anche degli oneri, siano essi il tempo che necessariamente si deve dedicare al proprio territorio di caccia, o il rigoroso rispetto delle leggi. Il legame tra chi pratica l’esercizio venatorio e territorio dovrà essere sempre più rafforzato. Il cammino è ancora lungo ma le premesse sono buone.

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