L’ambientalismo è politica. E fa male all’ambiente

Il ritorno al futuro o all’Arcadia del piccolo mondo antico impedisce di risolvere i problemi del pianeta

Giancristiano DesiderioArticolo

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Cosa ne è oggi della serietà dell’ecologia come la intese Ernst Haeckel? È stata risucchiata nel vortice demagogico dell’ambientalismo. La prima – l’ecologia – ha statuto di scienza e, come tale, è controllabile. Il secondo – l’ambientalismo – è un’attività politica e, come tale, tende a sfuggire al controllo e a degenerare nella propaganda e nel proselitismo. L’ambientalismo – per usare parole recenti di Federico Rampini – è una religione talebana del nostro tempo che ha una dea nella ragazzina svedese Greta Thunberg e moltitudini di giovani adepti che, sulla base del loro edonismo garantito dalla civiltà occidentale che denigrano, adorano la natura.

Proprio qui c’è il tasto dolente: non c’è cosa più difficile da definire della natura. Per i Greci è physis e per i Latini è natùra: ossia ciò che nasce e cresce spontaneamente senza perché. Come la rosa di Angelo Silesio. Ma gli ambientalisti, mischiando desideri, illusioni e dati, confondo il loro antropomorfismo – umano, troppo umano, umanissimo dice Nietzsche – con la physis e credono di essere niente di meno che i padroni della natura, capaci di regolamentarne temperature, clima, stagioni: come se la natura non fosse un eco-sistema vivo e variabile, ma un sistema razionale regolabile a piacere con una manopola. Così gli ambientalisti, che scambiano la natura con le teorie provvisorie della scienza, credono di essere progressisti anti-moderni e, naturalmente, anti-capitalisti, mentre sono il frutto dello stesso metodo moderno di indagine e della stessa produzione capitalistica che, però, beatamente ignorano e avversano.

L’ambientalismo è (anche) un affare editoriale. Basta dare uno sguardo agli scaffali, fisici e virtuali, delle librerie: è tutto un fiume librario che sfocia nel mare magnum della salvezza del mondo e della salvezza del pianeta. Esempi: Stefano Nespor, La scoperta dell’ambiente. Una rivoluzione culturale; Edward O. Wilson, Metà della Terra. Salvare il futuro della vita; Donatella Della Porta e Mario Diani, Movimenti senza protesta? L’ambientalismo in Italia; Giulia Settimo, Piccoli ambientalisti crescono: come insegnare l’ecologia ai bambini; Carlo Petrini, Terrafutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale. L’elenco sarebbe lunghissimo e questi sono i primi titoli a portata di mano e di clic.

L’ambientalismo, come si vede, si coniuga al futuro e al passato remoto: una sorta di ritorno al futuro o all’Arcadia del piccolo mondo antico di una volta. E, strano ma vero, entrambi questi due sentimenti, giacché di sentimenti e passioni si tratta, albergano nel campo progressista e non riguardano l’attualità e le sue concrete possibilità, bensì ciò che è lontano e remoto, impossibile, ma che si ritiene realizzabile facendo leva su un senso illimitato del potere: lo statalismo (ora indigeno, ora internazionale). Le «politiche verdi» – l’ultima delle quali è la cosiddetta «transizione ecologica» – enfatizzando oltre misura le fonti di energia rinnovabile confondono tra energia e potenza energetica: la prima è, ad esempio, la dinamo della bicicletta che è un trasformatore, mentre la seconda è il muscolo che fa girare i pedali. La nostra civiltà, per come è fatta e conosciuta, ha bisogno della potenza energetica, di cui la più compiuta espressione è il nucleare, mentre l’ambientalismo punta sull’energia rinnovabile, con la quale non riscaldiamo nemmeno le nostre abitazioni e ci espone alla dipendenza da potenze straniere, come il caso della guerra in Ucraina dimostra senza possibilità di smentita.

L’ambientalismo ha una sua pendenza a sinistra. È il caso di dirlo: è naturale. Non perché la sinistra difenda l’ambiente, ma perché è rimasta orfana del marxismo. Così l’ambientalismo è diventato la nuova lotta di classe, facendo fare ai progressisti o post-comunisti un vero e proprio salto quantico dalla pseudoscienza di Hegel e di Marx della filosofia della storia all’altra pseudoscienza di Hegel, Marx ed Engels della filosofia della natura: come un tempo gli intellettuali e i politici di sinistra credevano di essere la coscienza della necessità della Storia, così oggi credono di essere la coscienza della necessità della Natura. Come se un secolo di epistemologia, da Popper a Feyerabend, e un secolo e passa di fallimenti e catastrofi del marxismo non avessero insegnato nulla.

Come in effetti è: perché ogni generazione deve riprendere sulle spalle, secondo il realistico mito di Sisifo, la fatica di appropriarsi del sapere. Ma l’ambientalismo, in quanto è una sorta di tentativo di rivincita verde della sinistra rossa che è uscita sconfitta dalla storia del secolo scorso, evita per sua natura il confronto con l’umiltà del sapere e con la verifica dei risultati.

In questa inconsapevole teologia secolare si perdono le salutari differenze tra Dio, uomo e mondo e si alimenta una sensibilità ideologica e fanatica che, pur cantando le lodi dell’inclusione, esclude chiunque sollevi dubbi ed eserciti la santa critica. Il mondo dell’informazione, in senso lato, in quanto veicola dati senza analisi e senza storia porta acqua al mulino del pregiudizio positivo di cui gode l’ambientalismo nella società di massa in cui – come già sapeva e scriveva Ortega y Gasset un secolo fa in La ribellione delle masse – domina la boria del competente-ignorante. Un ambientalismo di tal fatta, che non sa distinguere natura e teoria, fisica moderna e physis, non è utile a difendere l’ambiente ed è il primo impedimento per conservare e custodire una buona eco-logia come discorso intorno alla casa che abitiamo.

Non a caso con l’ambientalismo ideologico si perdono i termini del discorso eco-logico: in luogo del logos, ossia del serio argomentare razionale, si ha il logo, al posto dell’inquinamento, sul quale si può intervenire si ha il clima che è indipendente dalle volontà umane, e si rifiuta la sempre faticosa libertà umana sostituendola con l’idoleggiamento di una natura non meglio definita della quale, però, la volontà di potenza ambientalista crede di essere la naturale regolamentazione. L’ambientalismo, come si vede, è il corto-circuito della cultura moderna che ignora o forse nasconde le sue radici e i suoi limiti.

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