Allodole alla leccese

L’allodola, altro prelibato uccello, è un assiduo frequentatore delle grandi distese pianeggianti del Tavoliere nonché delle aride «fattizze» che circondano le antiche masserie del Salento. Data la sua estrema diffusione, nel periodo autunnale, questo piccolo migratore alimenta, anche se meno di qualche anno addietro, un discreto pendolarismo venatorio da altre regioni italiane. Cacciatori o meglio sparatori semiprofessionisti hanno per decenni perpetuato vere e proprie stragi di questi volatili che andavano ad alimentare il florido mercato Nord’Italiano degli uccelletti da polenta, nonché fatti oggetto di caccia tradizionale con l’uso di specchietti e zimbelli vivi, ora vietati dalla legge, anche se, invero, era già un po’ di anni che le allodole non si lasciavano più ammaliare facilmente da tali stratagemmi. Ora la tecnologia ha pensato di supplire con micidiali richiami ad ultrasuoni. Per le allodole consigliamo questa degnissima preparazione tipica:  spennate le allodole, fiammeggiatele, evisceratele e dopo averle lavate, trafiggetele con degli spiedini intervallandole con funghi cardoncelli (Pleurotus erjngii) e foglie di alloro. Ponete gli spiedini in una terrina,  salateli, pepateli e pennellateli con olio extravergine di oliva; quindi ponete la terrina in forno caldo, a metà cottura ritiratela e spolverate gli spiedini con pangrattato insaporito con sale, pepe e prezzemolo tritato. Irrorateli moderatamente con dell’olio e riponeteli nuovamente in forno a completare la cottura; ritirateli e quando gli stessi si presenteranno di un bel colore dorato serviteli caldissimi. Visto che le allodole e i cardoncelli condividono lo stesso habitat, i pascoli pietrosi della Puglia, è da pensare che questo abbinamento sia tutt’altro che casuale.

Curiosità: in alcune famiglie salentine, varie specie di piccoli uccelli, ma in particolare  le allodole, venivano tritate finemente con l’ausilio di un tritacarne, naturalmente con tutti gli ossi. Dal trito ottenuto venivano ricavate delle polpette metodo classico salentino che avevano, a dire dei testimoni intervistati dallo scrivente, un gusto eccezionale, per nulla penalizzato, anzi, a loro dire, migliorato dalla presenza degli ossicini triturati.

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