Evviva la selvaggina senza luoghi comuni
Pochi chef hanno l’esperienza e le competenze di Silvio Salmoiraghi, geniale proprietario dell’Acquerello di Fagnano Olona. L’ex allievo di Gualtiero Marchesi ha girato il mondo e in Giappone ha appreso, ad esempio, l’arte del kaiseki: filosofia orientale del gusto di cui abbiamo parlato più volte e che prevede piatti presentati in modo molto estetico e accostati secondo una certa armonia o, al contrario, secondo un contrasto tra sapori e colori. Dalla Francia e dal Nord Europa, Salmoiraghi si è portato invece tanti segreti per esaltare al massimo la selvaggina, tema di questa puntata della rubrica Cucinando.
L’autunno non è solo la stagione dei tartufi, dei funghi e di altri ingredienti ricchi, come il foie gras, la pregiata marmellata di ribes dell’Alsazia oppure delle castagne. Ma è anche e soprattutto il periodo della selvaggina: quella di pelo e quella di piuma.
Il fagiano, la coturnice, la pernice entrano adesso nel menu del mio ristorante con lepre, capriolo, cervo e altre prelibatezze. In Italia non siamo grandi mangiatori di selvaggina: noi non abbiamo ricette o piatti popolari a base di cacciagione, come avviene nel Nord Europa. E poi abbiamo l’errata convinzione che la selvaggina debba essere sempre ben cotta e per questo si tiene sul fuoco delle ore. La realtà è ben diversa: una lepre si può mangiare anche al sangue, accompagnandola con salse ad hoc.
In Francia va per la maggiore la lepre al civet: è una cottura in umido il cui sugo è legato con il sangue o il fegato dell’animale. Non a tutti può piacere questo sapore, dal gusto di ferro in bocca. Per questo ci sono molti accorgimenti e se il fagiano è delicato, con carni bianche che si possono fare benissimo in salmì, il sapore della selvaggina cacciata può avere un gusto meno forte se servita con le bacche profumate di ginepro. Inglesi e francesi usano condimenti dolci per smorzare il selvatico del piatto.
Come dicevo all’inizio, in Italia c’è poca passione per la selvaggina e si seguono mode discutibili come quella di andare in montagna a mangiare polenta e capriolo, cotto per ore. Non capisco quale attrattiva possa avere questa ricetta che a me non dice proprio nulla.
Piuttosto il capriolo è buono anche crudo, ovviamente dopo essere stato pulito e curato secondo ogni norma di legge. È un animale libero che corre per i boschi e dunque la sua carne rossa è magra e squisita. Starà all’abilità dello chef farvi emozionare e io non mi stufo di ripetere che la bravura di un cuoco si vede proprio quando lavora la selvaggina. Chi ha avuto l’opportunità di compiere esperienze formative all’estero è avvantaggiato perché ha appreso tanti segreti e sa come fare con le salse di cui ho parlato poc’anzi: vanno legate con il sangue dell’animale e non sono facili da preparare perché se si supera la temperatura ideale il sangue si coagula e la salsa si rovina.
Per accompagnare la selvaggina si usano anche ingredienti come la mela cotogna, la castagna o le rape affogate e bollite nel burro. Gualtiero Marchesi cuoceva il filetto di lepre bollendolo a 80 gradi per quattro minuti in circa 100 grammi di burro e con 25 grammi di cognac: quando era pronto sembrava un paté e veniva servito con una insalata di melograno e mela cotogna.
Il filetto di capriolo, cervo, pernice e fagiano può essere serviti anche all’orientale: bollito e mangiato con quel pizzico di senape in grado di pulire la bocca. Il palato si pulisce anche con il vino: un grande barolo o un vino corposo in grado di reggere il confronto con il sapore forte e “ferroso” della selvaggina ne accentua il gusto e garantisce emozioni intense. Mela cotogna, agrumi, ribes e more sono l’ideale per pulire la bocca ma anche la zucca, le rape, i funghi e l’indivia sono adatti per essere accostati al sentore di “fegatoso” che arriva dalla selvaggina.
Molto famose sono le marmellate alsaziane, come quella di ribes che ho citato prima. In Alsazia ho lavorato in un noto ristorante che ha tre stelle Michelin ai tempi in cui i cacciatori arrivavano con la selvaggina e bisognava passare ore e ore a pulire e a spelare cervi e caprioli, le cui carni richiedono una paziente opera di frollatura. Le nostre salse d’accompagnamento erano fatte tutte senza zucchero e l’amaro era dato dal cioccolato fondente o dalla senape.
Oggi esiste selvaggina molto buona anche di allevamento: i prezzi sono alti ma lepre e coturnice non si mangiano tutti i giorni. Il mio fornitore è a Borgo Vercelli, dove l’azienda agricola Moncucco alleva gli animali all’aperto, in grandi spazi verdi incontaminati, tenendo conto delle loro abitudini: così le loro carni hanno la stessa intensità di gusto di quelle cacciate. laprovinciadivarese.it