Essere ecologisti: roba da radical chic
Nell’immaginario collettivo, gli “ecolo” (i membri del partito ambientalista belga Ecolo) sono persone piuttosto rilassate, che si spostano in bicicletta, fanno la spesa al mercato bio e discutono di questioni sociali davanti ad una birra artigianale. Volendosi spingere fino al cliché, si potrebbero quasi definire dei “radical chic”. L’ecologia è dunque una preoccupazione d’élite?
Dare una risposta definitiva è comprensibilmente impossibile. Bisognerebbe studiare il profilo socio-economico di ciascun elettore “ecolo” (ovvero ambientalista, “ecologista”). Ma osservando i fatti, emerge una certa tendenza. Secondo Johannes Hillje, consulente per la campagna del Partito verde europeo, i numeri del 2014 mostrano che il suo elettorato è relativamente giovane (18-34 anni), prevalentemente femminile, vive in contesti urbani, ha un livello di istruzione superiore alla media, ed è più interessato alla politica e meglio informato degli altri.
Categoria sociale o valori comuni?
Una forma d’élite intellettuale? Può essere. Si tratta necessariamente di un’élite economica? A questo è ancora difficile dare una risposta sempre valida. Anche se si potrebbe ipotizzare che ad “un alto livello di educazione” corrisponda una “occupazione ben pagata”. Ciò poteva forse essere vero per i nostri genitori, ma non vale più ai giorni nostri. Per Johannes Hillje, la categoria professionale non è da prendere in considerazione: «I nostri elettori non si identificano con una certa classe sociale, ma piuttosto con dei valori e degli interessi comuni».
Una visione condivisa da Caroline Close, ricercatrice post-dottorato (FNRS) al CEVIPOL (Centro di studio della vita politica, n.d.t.) dell’Università Libera di Bruxelles. Aggiunge ad ogni modo un’altra sfumatura: «I partiti verdi non sono dei partiti classisti, si tratta più che altro di preferenze e atteggiamenti politici. Le loro idee sono però basate su dei valori post-materialisti, per cui tutt’altro rispetto alla ricerca della sicurezza economica ad ogni costo. Mettono l’accento sulla qualità della vita e sullo sviluppo personale. Uno sviluppo che non si realizza attraverso la carriera o il denaro, ma per mezzo della vita familiare o sociale, della cultura, dell’apertura agli altri… Questo genere di idee seduce di più una parte della popolazione che ha già raggiunto un certo livello di confort materiale. Coloro che sono alla ricerca di un impiego, ad esempio, saranno meno attratti dai partiti verdi, poiché il loro scopo resta un miglioramento materiale della loro vita».
Sembra dunque questo il motivo del cliché “ecologista” uguale a “élite”. A causa di del livello di educazione. Come sottolinea ancora la ricercatrice: «I partiti verdi sono una derivazione dei movimenti militanti degli anni ’60 e ’70. Erano molto progressisti su tutti i fronti: liberazione dei costumi, lotta femminista, diritti degli omosessuali, diritto all’aborto… Dunque, alla radice stessa di questi partiti, esiste già una popolazione istruita che si emancipa dalla gerarchia e dalle convenzioni».
Ecologista “nello spirito” vs ecologista “nel voto”
Questo è quanto, per quel che riguarda la teoria. Che cosa succede in pratica? Perché essere ecologista non si riduce a votare per un partito verde. C’è anche chi si impegna in maniera attiva, chi fa parte di una vero e proprio gruppo cittadino. Lo abbiamo visto, l’elettorato ambientalista è giovane, in prevalenza femminile, con una buona istruzione, persino economicamente agiato. Cosa ne è degli attivisti?
Robin Guns è animatore e viaggiatore a tempo pieno per l’associazione belga Les Amis de la Terre (Gli amici della terra, n.d.t.). Per lui, la realtà concreta è diversa: «Il profilo è avanzato in termini di istruzione superiore, ma non sul lato economico. Ci troviamo piuttosto di fronte a una classe media. Si contano anche più uomini che donne. Quello che cambia davvero, però, è la classe di età. La nostra associazione è vecchia, esiste da più di 40 anni, per cui abbiamo molti volontari che hanno più di 50-60 anni. Cerchiamo di coinvolgere di più i giovani perché si impegnino realmente, ma l’evoluzione è lenta. La situazione è la stessa anche nelle altre associazioni con cui lavoriamo. Anche loro cercano di reclutare giovani nei loro ranghi, ma riscontrano le nostre stesse difficoltà».
Sembra dunque esserci un divario tra quelli che si potrebbero chiamare “gli ecologisti nel voto” e quelli che sono “ecologisti nello spirito“. Questi giovani ben istruiti sono probabilmente a conoscenza dell’emergenza ambientale e più attivi che altri nel movimento di protesta. «Si tratta di un atteggiamento che ritroviamo molto di più nell’elettorato verde che in quello degli altri partiti,» precisa Caroline Close. L’impegno però non raggiunge per forza il coinvolgimento quotidiano nelle associazioni.
Alla fine, come precisato in precedenza, è impossibile tirare le somme in maniera definitiva. Se ci si riferisce all’elettorato dei Verdi, si potrebbe certamente dire che l’ecologia è una questione élitaria, o quantomeno intellettuale. Ma se si tiene conto del coinvolgimento in prima persona le cose cambiano: il profilo dell’ecologista come membro di una “casta verde” viene meno se si parla di attività concrete di sensibilizzazione.