“Andare a caccia è sempre meno pericoloso”
Al termine della stagione di caccia che si è appena conclusa, l’Università di Urbino Carlo Bo ha svolto un’analisi degli incidenti che si sono verificati in Italia. Il numero delle vittime causate dai seguaci di Nembrotte rivela una tendenza ormai in corso da diversi anni: secondo i dati elaborati dai professori Marco Cioppi e Fabio Musso, se nel 2017 i morti causati direttamente dalle armi impiegate durante la caccia sono stati 18, nel 2018 e 2019 sono passati a 15 per scendere a 12 nel 2020.
A confermare questa tendenza, la diminuzione anche dei feriti: 66 nel 2017, 62 nel 2018, 60 nel 2019 per poi scendere a 48 nel 2020. Nel periodo che va dal 1° settembre 2020 al 31 gennaio 2021 gli incidenti sono stati in tutto 90, con 9 vittime e 45 feriti. Numeri. Ma si sa che la caccia è un tema notoriamente divisivo, perciò accade che anche i dati oggettivi possano essere messi in discussione. “Il nostro Dipartimento di Economia, Società e Politica svolge da molti anni ricerche sul rapporto tra economia e territorio e sulle attività che vi si svolgono, comprese quelle sul settore venatorio” dichiara il professor Marco Cioppi “con una metodologia costante, un monitoraggio di tutte le notizie raccolte da ANSA, stampa quotidiana, organi di informazione sia locali che nazionali e notiziari web. L’analisi è stata portata avanti considerando soltanto gli eventi accidentali, escludendo perciò quelli intenzionali e il bracconaggio. Quindi i dati riportati dalla ricerca non comprendono malori, cadute o episodi delittuosi”.
Quali sono state le occasioni in cui si sono verificati gli incidenti mortali?
“La quasi totalità degli eventi mortali avviene durante una battuta di caccia in gruppo” risponde il professor Fabio Musso “tipicamente quella al cinghiale, durante la quale può capitare a un cacciatore di finire sulla linea di tiro di un altro. È tuttavia positivo il fatto che nessun decesso si sia verificato fra i non cacciatori, come del resto era accaduto anche durante l’anno precedente. Sia il numero dei decessi sia quello dei feriti appaiono quindi in sostanziale diminuzione anche se il dato 2020 non è pienamente raffrontabile con quello degli anni precedenti a causa delle minori giornate di caccia autorizzate, a causa delle restrizioni legate alla pandemia da Covid-19”.
Nello studio viene riportato anche il numero di incidenti accaduti in altre attività outdoor. Come mai avete fatto questo confronto?
“Lo studio” ricordano i due docenti “ha riguardato anche altre attività che legano l’uomo all’ambiente e al territorio, per esempio l’escursionismo ha fatto registrare 149 morti e 247 feriti, per lo più dovuti a cadute in dirupi e burroni, la balneazione 80 morti e 3 feriti escludendo i malori, gli sport invernali 20 morti e 69 feriti e l’alpinismo 28 vittime. Possiamo dire in conclusione che attività senza una dose di pericolo non esistono, ma che seguendo in modo attento le prescrizioni legate alla sicurezza, i rischi possano essere portati vicini allo zero, perché spesso gli incidenti accadono per disattenzione o per sottovalutazione dei rischi stessi”.