Fate gli uomini: mangiate cinghiale
La mia specie, homo sapiens italicus, è in ritirata dalla realtà.
C’è una specie, o sottospecie, in via di estinzione in Italia, si chiama homo sapiens italicus. Si riproduce sempre meno, invecchia, deperisce, non reagisce più agli stimoli, non difende il proprio territorio. Intorno ai suoi insediamenti avanzano le fiere, sempre più numerose e spavalde: lupi a Reggio Emilia, Faenza, Chieti, Potenza, cinghiali ad Arezzo, Isernia, in centro a Fabriano, nei quartieri di Roma…
Al tempo in cui la specie era vitale, giovani e meno giovani sarebbero partiti per grandi battute e tornati carichi di carne con cui banchettare e di trofei da esibire. Ora che la specie agonizza abbiamo nonni che se ne stanno rinchiusi in casa, inebetiti dal piccolo schermo, nipoti che si picchiano fra di loro, esaltati dallo schermo piccolissimo, assessori che garantiscono l’innocuità dei selvatici, elettori che annuiscono e ignorano i capretti mangiati vivi fin dentro le stalle, i contribuenti costretti a pagare i risarcimenti agli allevatori, Lucrezia Minnilli, 21 anni (ventuno anni!), finita quest’autunno al cimitero di San Daniele Po per colpa di un cinghiale vagante.
Una specie, la mia specie, è in ritirata dalla realtà e ieri sui colli bolognesi ho mangiato cinghiale brado (in umido, con puré di patate) non tanto per marcare la differenza con gli animali, che continuano a fare gli animali: per marcare la differenza coi miei conspecifici, che non fanno più gli uomini.
Vive a Parma. Scrive sui giornali e pubblica libri: l’ultimo è “Eccellenti pittori. Gli artisti italiani di oggi da conoscere, ammirare e collezionare” (Marsilio).