Le indagini dei detective del Po «Sul fiume a caccia di criminali»
Le 40 guardie ittiche: i confini tra Lombardia ed Emilia limitano la nostra attività.
«Il fiume Po? È un puzzle medievale di competenze, tra Ducati, Regni e Principati, ciascuno con le proprie regole». La definizione, azzeccata, è di Vitaliano Daolio, che il Grande Fiume lo conosce bene: non è solo gestore dell’Acquario del Po di Motta Baluffi, ma è anche pescatore professionista. Ha perso i tre mesi migliori dell’anno per il pescaturismo (da marzo a maggio, col bel tempo ma senza l’afa estiva) a causa del lockdown e da lui arriva lo spunto per studiare i dilemmi burocratici che frenano le Guardie Ittiche Volontarie. Con sede a Gussola, a settembre 2015 è nato il gruppo «Amici della Golena»: «Siamo in quaranta — spiega il presidente Gianluca Veronesi — e sette di noi sono guardie Fipsas, che hanno seguito un corso di otto mesi e possono comminare sanzioni amministrative. Gli altri componenti, tutti volontari, ci danno un sostegno logistico e nell’attività investigativa».
Lo scopo principale è limitare bracconaggio e pesca di frodo. «In questi cinque anni abbiamo fermato due gruppi che pescavano 20-30 quintali di pesce ad ogni uscita e ne abbiamo messi in fuga altri due. È chiaro che, quando si parla di perquisizioni in cascina per rintracciare il pescato di frodo, oppure quando si parla di penale, noi dobbiamo contattare i carabinieri, con i quali c’è un’ottima collaborazione». Dunque, dove sta il problema delle competenze? A spiegarlo è Andrea Pelizzoni, una delle sette guardie ittiche Fipsas del gruppo. «I confini sul Po non sono facili da identificare come quelli terrestri. Tra Motta Baluffi e Torricella del Pizzo, nel tratto cremonese che solitamente noi seguiamo, si trova una zona di pesca molto sfruttata dai bracconieri, che chiamiamo Bocca Taro e si trova in provincia di Parma, dunque in Emilia. Lì noi non possiamo agire, anche se magari cogliamo questi delinquenti in flagranza di reato». «Abbiamo tre strade — precisa Veronesi —. Chiamiamo i colleghi della sponda parmense, chiedendo il permesso di intervenire; o ci facciamo scortare dai carabinieri del nucleo Forestale; oppure segnaliamo e aspettiamo l’intervento di qualcuno dall’Emilia. In tutti e tre i casi si perde tempo prezioso, perché il bracconiere non aspetta e scappa. Da anni ormai chiediamo di far crollare queste barriere, che sul Po hanno minor ragione di esistere, invano. Del resto, siamo volontari, dunque dovremmo essere semplicemente un aiuto in più, quando invece risultiamo indispensabili».
Sulla terra ferma da mercoledì i confini regionali cadranno. Sul Po, invece, resistono. «Per assurdo — sottolinea Pelizzoni — fino a domani siamo noi a rischio multa: in linea teorica potremmo pagare fino a 4 mila euro di contravvenzione se invadessimo le acque emiliane solo per un controllo, dato che da volontari quali siamo non potremmo addurre motivi di lavoro per varcare il confine regionale». «Chi controlla i controllori?» era una massima satirica di Giovenale. Ma qui ai controllori sono quasi state legate le mani. «Spesso è così — spiega Pelizzoni —, ma andiamo avanti e qualche risultato lo abbiamo portato a casa. Questo ci dà forza, però la normativa deve venirci in soccorso».