Le tipologie di richiami consentiti dalla legge nell’esercizio dell’attività Venatoria
Avv. Francesca Balducci (del Foro di Lucca)
La legge n. 157 dell’11-02- 1992 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) ha regolamentato, tra le altre, la materia relativa ai richiami da caccia, ossia tutti quegli stratagemmi che normalmente utilizzati dai cacciatori per attirare la preda nel luogo prescelto, individuando quelli consentiti e quelli vietati, pur non sempre presentando una agevole lettura per la corretta applicazione. La presente trattazione ha proprio lo scopo di chiarire gli aspetti interpretativi più problematici. In primo luogo, la disciplina distingue i richiami “vivi” da quelli di altro tipo, ovvero i richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono. Per quanto riguarda questi ultimi, quindi i richiami diversi da quelli vivi, è liberamente consentito l’uso dei richiami manuali per uccelli.
In proposito, va tenuto anzitutto presente che il miglior maestro non è un cacciatore più esperto ma la natura stessa: è il volatile che stiamo cercando di imitare che fornisce l’insegnamento più sapiente. Il richiamo a bocca ha il grande vantaggio di essere modulabile in quanto a intensità e ritmo: non esiste infatti un verso standard, ma quello più adatto alla specifica conformazione del volo, alla specie, alla situazione. Il suono più importante che emette l’animale vivo è la cosiddetta “chiamata di benvenuto”:
è il verso che fa uno o più volatili dello stormo appunto per dare il benvenuto ad un nuovo arrivato. Cercare di comprenderlo e di imitarlo faciliterà e velocizzerà il nostro apprendimento. E’ possibile anche imitare più voci: il primo volatile che chiama e gli altri a rinforzo. Fondamentale è non chiamare mai un volatile che sta venendo verso di noi, effettuando il richiamo sempre dietro rispetto alla direzione di volo, così da indurlo a girarsi mettendosi a tiro (utilissima, in questo caso, la combinazione di richiami e stampi).
Sono anche consentiti i piccoli oggetti in legno e/o in ottone e/o in metallo, purché azionati direttamente dal fiato o dalla mano (fischietto, pompetta per aria, sfregamento di legni e simili), come d’uso per l’oca selvatica, il tordo, il bottaccio, il colombaccio, la pavoncella, il piviere, il germano reale, l’alzavola, il merlo nero, il tordo sassello, l’allodola, lo storno, il fagiano e molti altri uccelli.
E’, invece, vietato per la caccia l’impiego di richiami normalmente consentiti per altre attività – per lo più hobbistiche-, come il birdwatching (osservazione degli uccelli): si tratta dei richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono, costituiti da tutti quegli apparecchi con funzionamento a manovella, ad orologeria, con motore elettrico, con impiego dell’elettronica, che emettono suoni idonei ad attirare uccelli.
Passiamo ora ad esaminare la tipologia relativa ai richiami vivi. Si tratta forse del tipo più rilevante, considerando che tra le forme di caccia più apprezzate in Italia c’è sicuramente quella da appostamento con i richiami vivi. Certamente, è una forma di caccia antica, trasudante passione e tradizione, per questo senza dubbio tra le più affascinanti, anche perché con il volatile utilizzato come volantino o come zimbello si instaura un rapporto assolutamente eccezionale, fatto di cure e dedizione costanti nel tempo.
Fra le altre, la caccia alle allodole si avvale fra altri sistemi di richiamo anche dell’uso di richiami vivi. Che cosa dice la legge al riguardo?
Il riferimento normativo principale è contenuto nell’art. 5 (“Esercizio venatorio da appostamento fisso con richiami vivi”) della legge n. 157/92, cd. legge quadro sulla caccia, che in primo luogo attribuisce alla competenza regionale sia la regolamentazione riguardante “l’allevamento, la vendita, e la detenzione di uccelli allevati appartenenti alle specie cacciabili” (comma 1), sia quella relativa alla gestione del patrimonio di richiami vivi di cattura appartenenti alle specie di cui all’art. 4, comma 4. A ben guardare, si tratta di una norma dal tenore assai generale che, delegando alle singole Regioni la disciplina di dettaglio, pone non pochi problemi interpretativi di non agevole soluzione, date le ovvie differenze regolamentari che si sono venute a creare. Ad indicare comunque, in modo chiaro ed inequivocabile, quali specie di volatili possano essere ricomprese nei richiami di cattura è la norma di cui all’art. 4 comma 4 della stessa legge quadro, che menziona l’allodola, la cesena, il tordo sassello, il tordo bottaccio, il merlo, la pavoncella ed il colombaccio; mentre la stessa norma indica tra i richiami provenienti da allevamenti i volatili appartenenti alle specie dell’allodola, della cesena, del tordo sassello, del tordo bottaccio, dello storno, del merlo, del passero, della passera mattugia, della pavoncella, del colombaccio e del germano reale.
Anche le modalità di utilizzo dei richiami vengono regolate in parte dalla Legge quadro sulla caccia (art.5) ed in parte dalle leggi regionali. La detenzione degli esemplari acquistati deve essere comunicata alla Provincia di residenza, la quale provvede a dare formale riscontro dell’autorizzazione concessa, in relazione all’opzione venatoria compiuta da ogni cacciatore, nei seguenti limiti: per il cacciatore che esercita l’attività venatoria da appostamento fisso, ai sensi all’art. 12 comma 5 lett. b), è consentito l’uso di richiami allevati fino ad un massimo di dieci unità per specie e fino ad un massimo complessivo di quaranta unità; diversamente, il cacciatore che esercita l’attività venatoria da appostamento temporaneo, ai sensi all’art. 12 comma 5 lett. c), è consentito l’uso di richiami allevati fino ad un massimo complessivo di dieci unità. La comunicazione dovrà essere accompagnata da copia della documentazione rilasciata dal centro di raccolta o dall’allevatore, comprovante l’avvenuta cessione dei richiami o la legittima provenienza, nonché da una autocertificazione del cacciatore che ne attesti la regolare marcatura e la comunicazione di formale riscontro rilasciata dalla Provincia competente per territorio; tale documentazione dovrà essere conservata dal cacciatore ed esibita agli agenti di vigilanza, qualora richiesta. Gli esemplari detenuti devono essere regolarmente marcati con anello inamovibile numerato secondo le indicazioni fornite dall’ISPRA (ex Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica) ed aventi caratteristiche tali da poter ricondurre inequivocabilmente alla provenienza ed accompagnati da idonea documentazione comprovante l’origine lecita dei medesimi; la sostituzione di un richiamo potrà avvenire soltanto dietro presentazione all’ente competente del richiamo morto da sostituire. É altresì vietata la vendita di uccelli di cattura utilizzabili come richiami vivi per l’attività venatoria, in quanto la cattura e la cessione sono riservate agli impianti autorizzati dalla Provincia. Si pone, a questo punto, un importante problema interpretativo.
L’art. 5 fa riferimento in modo del tutto generico al cd. “appostamento temporaneo”, prevedendo anche il numero massimo di esemplari che possono essere detenuti. Rimane, in prima battuta, di difficile interpretazione tale concetto, poco meglio specificato all’art. 14 comma 13 della stessa legge, che testualmente asserisce che: « l’appostamento temporaneo è inteso come caccia vagante ed è consentito a condizione che non si produca modificazione del sito»; anche in questo caso, però, il legislatore, forse a corto di nozioni venatorie e di una concreta esperienza di caccia, detta una definizione non meno generica della precedente. Altro divieto relativo all’uso dei richiami è quello del relativo all’uso dei richiami senza identificazione, essendo obbligatorio provvedere mediante inanellamento numerato del volatile secondo le normative regionali di riferimento. In particolare, si tutelano i volatili utilizzabili come richiami vivi e, tra i divieti previsti, vi è quello di utilizzare uccelli accecati o mutilati, in quanto tale condotta integrerebbe il reato di maltrattamento di animali ai sensi dell’art. 544 del Codice Penale, che prevede che “chiunque, per crudeltà o senza necessità cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie […] è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi e con multa da 5.000 a 30.000 euro”. É consigliabile, quindi, valutare attentamente le possibilità che si hanno di allevare volatili ai fini del richiamo a caccia. È facile farsi prendere dal fuoco della passione e decidere di intraprendere questa attività, per poi, magari, scoprire che questo tipo di caccia non è adatta alle possibilità e ritmi di vita propri. In questo modo si rischia, ahimè, di prestare il fianco ed argomenti a chi vive la propria esistenza per condannare caccia e cacciatori. Proseguendo nell’analisi delle proibizioni relativa ai richiami vivi, l’art. 21 della legge citata vieta l’utilizzo di richiami vivi al di fuori dei casi previsti dall’articolo 5 (allodola, cesena, tordo sassello, tordo bottaccio, merlo, pavoncella e colombaccio);
per quanto attiene alla caccia agli acquatici, vieta i richiami vivi non provenienti da allevamento; quindi, vieta l’utilizzo –come richiami- di uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali. Ad ulteriore conferma dell’attenzione verso l’utilizzo dei richiami vivi a scopo venatorio, la direttiva UE nr.20336 del 28/01/1997, in coordinamento con le singole normative regionali a cui è necessario fare riferimento, impone le seguenti misure delle gabbie:per i turdidi (bottaccio, sassello, merlo, cesena e storno) di cm 30,5 x 25 x h 25, mentre le allodole di cm 22,5 x 17 x h 21. Eventuali recinti, voliere o gabbie, debbono avere misure adeguate alle dimensioni dell’animale e alle esigenze delle specie, e tali da non consentire la fuoriuscita degli animali allevati e/o l’ingresso di animali estranei. I divieti passati in rassegna appaiono di rilevante importanza, in quanto alla trasgressione agli stessi conseguono gravi sanzioni: in particolare, nell’ipotesi di utilizzo di richiami non autorizzati o comunque in violazione delle disposizioni emanate dalle Regioni, salvo che il fatto sia visto dalla legge come reato, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria che va da un minimo di euro 154 ad un massimo di euro 929, con aumento da euro 258 ad euro 1.549, nel caso di violazione commessa per una seconda volta; diversamente nell’ipotesi di abbattimento, cattura o detenzione di mammiferi o uccelli nei cui confronti la caccia non è consentita o per chiunque eserciti la caccia con mezzi vietati, trattandosi di fattispecie di reato, è prevista la sanzione penale dell’ammenda fino ad euro 1549; la stessa pena si applica per chi esercita la caccia con l’ausilio di richiami vietati di cui all’art. 21, comma 1 lett.r), ovvero uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali e richiami acustici a funzionamento meccanico, elettromagnetico o elettromeccanico, con o senza amplificazione del suono; nel caso di tale infrazione si applica altresì la misura della confisca dei richiami. Una recente sentenza di Cassazione (Cass. Penale n. 48459 del 9 dicembre 2015) si esprime sulla nozione di esercizio di caccia testualmente affermando che: «come è stato ulteriormente precisato da questa Corte (cfr. Cass. Penale Sez. 3, n. 2555 del 30/9/1994), il concetto di esercizio venatorio deve essere inteso in senso ampio, quale attitudine concreta volta alla uccisione ed al danneggiamento di uccelli e di animali in genere ed il relativo accertamento costituisce giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se adeguatamente motivato. »
Nella medesima sentenza la Suprema Corte di legittimità sviluppa altresì la nozione di esercizio di caccia con mezzi vietati, ovvero «……con riferimento alla sussistenza del reato di cui all’art. 30, c. 1, lett. h), della legge n. 157 del 1992. Invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Penale Sez. 3, n. 139 del 13/11/2000), tale reato punisce l’esercizio della caccia con mezzi vietati, ossia con i mezzi che non sono compresi fra quelli consentiti tassativamente dall’art. 13 della legge n. 157 del 1992. In conseguenza di ciò, è stato incluso nel novero dei mezzi vietati, ad esempio, anche l’uso dei fari alogeni (cfr. Cass. Penale Sez. 3, n. 36718 del 17/04/2014), se ed in quanto destinati a stanare la preda da abbattere, dal momento che il mezzo utilizzato diviene uno strumento essenzialmente e funzionalmente connesso all’attività di caccia. Pertanto, (…) si devono ritenere vietati non solo i mezzi diretti ad abbattere la fauna selvatica diversi da quelli specificatamente ammessi, ma anche tutti quegli strumenti accessori che il detentore abbia aggiunto all’arma per renderla funzionalmente più idonea all’attività di caccia».