Flash di Caccia vissuta
Era una domenica di ottobre, le starne ormai si erano fatte rade e scaltre.
Jek, il fido bracco, mi ha trascinato su, attraverso una radura che porta ad un boschetto di quercioli e di folte robinie. Una guidata, una ferma, poi un’altra guidata. Salgo ancora, il cuore mi batte forte in gola, non capisco se è per la salita o per l’emozione di veder frullare le starne. Salgo ancora, non posso fermarmi, ma sembra mi manchi il fiato, mi fermo, il cane punta verso un cespuglio di more selvatiche, ci sarà finalmente una starna nascosta, aspetto con impazienza, che si alzi con il solito fragore d’ali. Nulla. Jek sembra aver perso la traccia, mi avvicino al cespuglio e getto sassi all’interno, nella speranza che il selvatico si alzi. Niente. Sono nervoso, controllo che il fucile abbia la sicura disinserita. Tutto è in ordine, imbraccio istintivamente per controllare se la giacca mi fosse d’impiccio, la tolgo, voglio essere sicuro di non sbagliare. Oltrepasso il cespuglio e mi accingo a scendere dalla parte opposta, quando alle mie spalle un frullo violento mi fa sobbalzare, imbraccio e con una stoccata istintiva sfogo tutta la mia ansia. Avendo ormai oltrepassato il poggio non riesco a vedere se la preda è caduta o meno. Corro di nuovo su e vedo Jek che torna con in bocca una bella starna. Delicatamente me la deposita in mano. L’accarezzo dolcemente, forse è l’ultima di quest’annata, le ricompongo le penne e scendo tenendola in mano, è troppo bella per riporla nella sacca.