Racconti di caccia …

E’ da qualche anno che ho abbandonato la mia prima passione, la pesca a mosca e che la Valle Aurina e i suoi dintorni, mi continuano ad ospitare per un altro motivo: la caccia al camoscio.

Il ricordo dell’apertura di quest’anno è ancora vivo nei miei ricordi, sarà che è stata una giornata di caccia entusiasmante, quindi ho deciso di raccontarla anche a te, chissà che non ti possa ritrovare in questo breve racconto. Come tutti i cacciatori ho dei riti propiziatori che, secondo il me più irrazionale, faranno andar bene la giornata di caccia. Il primo è quello di raggiungere il luogo di caccia molte ore in anticipo, meglio se una notte in anticipo: dormendo sul posto mi sembra quasi di instaurare un rapporto fisico con il bosco, con il cielo, con la terra. Inoltre c’è il grande vantaggio di poter dormire qualche ora in più, e chi va a caccia di camosci sa bene cosa possa significare.

La sveglia anche il primo giorno di caccia di quest’anno è suonata presto, troppo presto. Ho messo su la caffettiera preparata la notte precedente e con la tazzina in mano ho passeggiato appena fuori la porta, coperto da un bel tetto di legno pesante. Ecco il mio secondo rito scaramantico: guardo il cielo, lo osservo con cura e tiro ad indovinare come andrà la giornata. Le nuvole di norma non mentono mai. Tutte le volte che per fretta o per necessità ho tralasciato questi rituali, le cose sono andate male, per cui…
Quando arriva Giacomo sono le quattro del mattino; fari del fuori strada accesi, marcia ingranata piuttosto bassa e cautela nell’affrontare il sentiero di quella casa che oramai conosciamo molto bene, visto che la affitto da anni. “Marisa ancora addormentata?”, si informa sullo stato di salute di mia moglie e dei miei figli che, quando io mi diletto con la caccia, si rilassano in montagna, e dopo qualche convenevole, del quale non abbiamo mai avuto bisogno salgo in macchina e partiamo. Mi ricorda che sarà necessaria una breve deviazione, dobbiamo caricare anche Raimondo, un ragazzo della zona che ci porterà “nei posti giusti” dice lui, e io lo assecondo.
Arriviamo nel primo “posto giusto” alle cinque del mattino. Io trascorro i primi cinque minuti a respirare e a osannare la natura. Questo è il mio terzo rito propiziatorio, dimostrare rispetto al luogo che mi regala ospitalità. Sembra che alla natura questo non dispiaccia, peccato per i miei compagni, piuttosto sbrigativi. Imbraccio il mio fucile, per l’occasione ho portato con me una bellissima carabina 257 Weatherby e mi avvio. Sento profumo di abeti e di larici praticamente ovunque: l’odore è talmente tanto pungente che mi gratto il naso ma niente. Riabituarsi all’aria aperta e ai suoi profumi richiede tempo, ma non c’è niente di meglio. Quando arriviamo sul posto Raimondo ci fa un cenno con la mano: in lontananza ammiriamo un fulmine rosso che scende a gran velocità, un bel capriolo che pare non essere interessato alla nostra presenza. Sorrido. Sarà una buona giornata. Ci posizioniamo dietro un gran masso che ci regala protezione e aspettiamo. In questo periodo la caccia è specialmente questione di attesa. Il luogo d’altronde è perfetto visto che noi siamo riparati e i camosci per la pastura devono necessariamente passarci accanto. Ne vediamo sette sulla cima appena sopra la nostra testa. Prima o poi raggiungeranno i luoghi di pascolo. Aspettiamo. Dopo un paio di ore però l’attesa non ci sembra più l’arma vincente per cui su consiglio di Raimondo scegliamo di cambiare tattica e luogo.
Bella camminata, Giacomo che ansima, sole che si è fatto piuttosto caldo, e Raimondo che parla l’indispensabile. Meglio dico io, così ho la possibilità di godere di questa spettacolare giornata. Raggiungiamo dopo una mezzora il secondo posto giusto, ma la storia si ripete: individuiamo sette esemplari su una cima poco distante da noi, aspettiamo, non si muovono e io decido di raggiungerli: sarà pure una follia, ma l’avvicinamento mi sembra la soluzione migliore. Carico zaino e fucile e proprio mentre faccio il cenno della mano a quei due sento la mano di Raimondo che mi afferra al braccio e mi mette “al riparo” dall’acutissima vista dei caprioli. Ne stanno scendendo almeno cinque e ci stanno puntando. E’ probabile che qualcosa, o qualcuno il abbia spaventati. I miei riti scaramantici non falliscono mai.
Imbraccio il fucile e il mio occhio piuttosto allenato distingue immediatamente almeno due jharling. Sono piuttosto veloci e sono gli ultimi della coda. Presto li metto dentro il mio mirino ma continuano a sovrapporsi, a cambiare direzione e la situazione si mette piuttosto male. Sto per rinunciare quando all’improvviso uno di loro si ferma e quasi sapesse che c’è l’ho sotto tiro mi guarda. E’ la mia occasione: punto, sparo ma un secondo prima che io abbia affondato il dito nel grilletto lui è ripartito. Bestemmio, tiro giù qualche santo, e poi rido di cuore. Raimondo pensa chi io sia pazzo. Ci consiglia di andare alla ricerca di un altro “posto giusto” e io lo seguo taciturno. Per oggi ho avuto la mia dose di adrenalina e da oggi ho un conto aperto con quel meraviglioso jharling.

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