Divieto di caccia: ultime sentenze
Le ultime sentenze su: segnalazione del divieto di caccia; tabellazione della zona; onere della prova della PA; presunzione di conoscenza a carico del trasgressore; ingnoranza e consapevolezza del divieto caccia; divieto di esercizio venatorio in area protetta.
Divieto di caccia e tabellazione della zona
Qualora in una determinata zona viga un divieto di caccia, se l’ente pubblico provvede alla tabellazione della zona, tale divieto di caccia di presume noto e la P.A. non deve dimostrare la sua conoscenza da parte del trasgressore. Senza la tabellazione, invece, è la P.A. che deve dimostrare che, nonostante tale mancanza, il trasgressore fosse a conoscenza del divieto (sulla base di elementi di fatto quali, a titolo esemplificativo, la conoscenza della zona dovuta al dimorare nella medesima o in luoghi prossimi ad essa, l’abituale esercizio della caccia in quei siti, la preesistenza di cartelli successivamente rimossi o danneggiati e, in genere, le peculiari modalità dell’azione). Tribunale Firenze sez. II, 25/06/2019, n.2025
La segnalazione del divieto di caccia
La necessità di segnalazione del divieto di caccia mediante regolare tabellazione, crea una presunzione di conoscenza a carico del trasgressore che solleva l’accusa dell’onere di dimostrare la conoscenza della proibizione. Cassazione penale sez. III, 21/03/2018, n.31380
Possibilità della caccia nei parchi
Restituzione al giudice rimettente degli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, l. prov. Trento 9 dicembre 1991, n. 24, e dell’art. 8, comma 1, della stessa l. prov. Trento n. 24 del 1991, in combinato disposto con l’art. 44, comma 1, l. prov. Trento 23 maggio 2007, n. 11, censurati, per violazione dell’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., nella parte in cui, rispettivamente, consentono l’esercizio della caccia congiuntamente in forma vagante e mediante appostamento fisso — in contrasto con il principio della caccia di specializzazione stabilito dall’art. 12, comma 5, l. 11 febbraio 1992, n. 157 — e consentono, a determinate condizioni, che nei parchi la caccia sia esercitata dagli aventi diritto — in contrasto con il divieto di caccia nei parchi sancito dall’art. 22, comma 6, l. 6 dicembre 1991, n. 394. Successivamente all’ordinanza di rimessione il quadro normativo di riferimento ha subito considerevoli modifiche in conseguenza dell’entrata in vigore del d.lgs. 11 dicembre 2016, n. 239, sicché si rende necessario un rinnovato esame, da parte del giudice a quo, dei termini della questione e della perdurante rilevanza e non manifesta infondatezza delle questioni sollevate (ord. n. 378 del 2008). Corte Costituzionale, 14/07/2017, n.200
Divieto di caccia e perimetrazione delle aree naturali con regolare tabellazione
In tema di caccia, il divieto di esercizio di attività venatoria nelle aree naturali protette regionali si presume conosciuto se le aree sono perimetrate da regolare tabellazione, di modo che il trasgressore, salvo casi eccezionali, non può invocare a propria discolpa l’ignoranza del divieto; la mancanza o l’inadeguatezza della tabellazione non determina, peraltro, l’automatica inconfigurabilità del reato di cui agli artt. 21 e 30 l. n. 157 del 1992, ponendo solo a carico dell’accusa l’onere di dimostrare che, nonostante l’assenza di indicazioni, il trasgressore era comunque consapevole del divieto. Cassazione penale sez. III, 08/03/2016, n.17102
La disciplina regionale sul divieto di caccia
Il divieto nell’esercizio dell’attività venatoria, se previsto dalla legislazione regionale in termini diversi rispetto a quelli sanciti dalla legislazione statale, assume funzione integrativa della norma penale solo quando abbia effetti in “bonam partem”; mentre, nel caso in cui abbia un ambito più esteso rispetto a quello fissato dalla legge penale statale, la sua inosservanza può eventualmente costituire solo un illecito amministrativo, se come tale previsto dalla normativa medesima.
Cassazione penale sez. III, 11/02/2016, n.26424
Violazione della competenza legislativa statale esclusiva nella tutela dell’ambiente
È costituzionalmente illegittimo, per violazione della competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lett. s), cost.), l’art. 24, comma 5, della l.reg. Campania 9 agosto 2012 n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e disciplina dell’attività venatoria in Campania), nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla l. reg. n. 12 del 2013, che consente l’addestramento dei cani da ferma, da cerca e da seguita, nei territori ove non sussista il divieto di caccia e non vi siano colture in atto, per quarantacinque giorni nei due mesi precedenti il mese di apertura della caccia, ad esclusione del martedì e venerdì. La disposizione impugnata consente l’attività di addestramento dei cani in periodi differenti da quelli stabiliti per l’esercizio dell’attività venatoria al di fuori della pianificazione faunistico-venatoria prevista dall’art. 10 della l. n. 157 del 1992 e senza le garanzie procedimentali di cui all’art. 18 della medesima legge che costituiscono standard minimi e uniformi di tutela della fauna. Corte Costituzionale, 12/12/2013, n.303
Divieto di caccia nelle aree naturali protette
Il divieto di esercizio dell’attività venatoria nelle aree naturali protette se è segnalato da regolare tabellazione si presume conosciuto dal trasgressore e solleva l’accusa dall’onere della prova; viceversa, in assenza di tabellazione, il divieto di caccia si presume ignoto e l’accusa deve dimostrare che, nonostante l’assenza di indicazioni, il trasgressore era comunque a conoscenza della proibizione.
Cassazione penale sez. III, 29/05/2013, n.39112
Deroga al divieto di caccia per necessità di protezione
Ai sensi dell’art. 29 comma 2, l. prov. Bolzano n. 14 del 1987 sul controllo della fauna, per poter parlare di « protezione della zootecnica » il pregiudizio non può essere misurato con riguardo al singolo allevatore di animali domestici, ma deve avere una rilevanza generale.
Diversamente la deroga al divieto di caccia per necessità di protezione perde il carattere di strumento eccezionale e finisce per costituire una deroga generale, se pur per una determinata riserva, ai periodi di caccia regolamentati ai fini della tutela della fauna selvatica, secondo i principi dell’ordinamento comunitario, nazionale e provinciale.
T.A.R. Bolzano, (Trentino-Alto Adige) sez. I, 21/02/2013, n.58
Divieto di caccia e onere della prova
Il divieto di esercizio dell’attività venatoria in zona permanente di protezione faunistica, se é segnalato da apposita tabellazione (art. 10 legge 11 febbraio 1992 n. 157), è opponibile al trasgressore e solleva l’accusa dall’onere della prova; viceversa in assenza di tabellazione, il divieto di caccia si presume ignoto e l’accusa deve dimostrare che, nonostante l’assenza di indicazioni, il trasgressore era comunque a conoscenza della proibizione. Cassazione penale sez. III, 25/01/2012, n.9576
Zona di protezione speciale
La zona di protezione speciale (ZPS), pur essendo accomunata al divieto di caccia nei valichi migratori nella finalità di tutela dell’avifauna migratrice, assolve la diversa funzione di mantenimento e sistemazione del territorio in cui gli uccelli non si limitano a transitare in volo, ma possono soggiornare con una qualche stabilità, in conformità delle esigenze ecologiche degli habitat interni e limitrofi.
T.A.R. Brescia, (Lombardia) sez. II, 27/05/2010, n.2156
Divieto di cacciare determinate specie di animali
Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 39, comma 1, l. reg. Piemonte 22 dicembre 2015, n. 26 e dell’art. 1, comma 1, l. reg. Piemonte 27 dicembre 2016, n. 27, i quali, rispettivamente, aggiungono la lett. f-ter e la lett. f-quater all’art. 40, comma 4, l. reg. Piemonte 4 maggio 2012, n. 5, censurati per violazione degli artt. 102, comma 1, e 117, comma 1, Cost., in relazione al considerando n. 32 della decisione n. 1600/2002/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 luglio 2002 e agli artt. 114 e 193 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, nella parte in cui vietano la caccia di alcune specie di animali che sono, invece, considerate cacciabili dall’art. 18, comma 1, l. 11 febbraio 1992, n. 157.
La motivazione a sostegno della asserita violazione dell’art. 102, comma 1, Cost. è insufficiente, non avendo il giudice a quo minimamente illustrato perché — a suo dire — nella norma censurata sarebbe ravvisabile una legge specificamente diretta ad alterare l’esito del giudizio in corso, né ha dato conto delle ragioni per cui essa dovrebbe risultare ascrivibile alla categoria delle norme interpretative, così come non ha in alcun modo motivato sul supposto effetto retroattivo della disposizione stessa.
Anche la questione relativa all’art. 117, comma 1, Cost. è priva di adeguata motivazione sulle ragioni dell’asserito vulnus, non essendo individuato lo specifico contenuto precettivo delle norme interposte che contrasterebbe con le disposizioni regionali sospettate d’illegittimità costituzionale, con il risultato che la censura è formulata in modo generico ed apodittico.
Il rimettente, infatti, ritiene che non sarebbe stata svolta un’adeguata istruttoria, omettendo, tuttavia, di illustrare le ragioni per cui il parere dell’ISPRA sarebbe imposto dalla normativa eurounitaria citata — che peraltro appare prevalentemente rivolta più alle istituzioni comunitarie che agli Stati membri — e, conseguentemente, omettendo, in definitiva, di chiarire in cosa sarebbe consistita la violazione denunciata (sentt. nn. 432 del 1997, 170 del 2008, 80 del 2010; ordd. nn. 263 del 2002, 344 del 2008) .
Corte Costituzionale, 17/01/2019, n.7