Il “silenzio” forzato dell’ isola favorisce a caccia chiusa l’attesa “entrata” di quaglie e tortore
Antonio Lubrano 14 Aprile 2020
Ecco aprile , “entrano” le quaglie, ma è proibito abbatterle / C’è chi le cattura vive senza colpo ferire ricorrendo nuovamente all’antica rete a maglie strette / Occhio al Falco assassino che si annida in vari punti della costa isolana e perfino all’Epomeo. A caccia chiusa per regolamento e per ovvi moti d’emergenza sanitaria, i cacciatori appassionati isolani hanno nostalgia del passato. La caccia alla quaglia, era il semplice ma diretto slogan che i cacciatori dell’isola di Ischia si passavano l’uno all’altro negli anni ’40 e ’50, per onorare come si doveva, il periodo venatorio consentito e sfruttarlo con i mezzi d’uso adatti a far razzia del famoso volatile: il fucile a doppietta prima di tutto e la rete a maglie strette. Quello della caccia alla quaglia, è stato sempre un tipo di caccia stimolante, bello se possiamo usare questo termine, che in pratica, per farlo per bene, richiedeva e richiede preparazione ed entusiasmo, per il non trascurabile motivo , per chi vuole avere successo, che la quaglia conosce mille e un trucchetto per sfuggire alle attenzioni non di certo amichevoli del cacciatore e stremare e portare a “spasso” chi insiste per la cattura. La caccia alla quaglia è storia antica per gli ischitani e rappresentava già ai tempi del Borgo di Celsa nell’antica Ischia Ponte fra il ‘300 ed il 400, una particolare usanza di svago per i contadini delle colline di Soronzano, San Domenico e Campagnano fino a Piano Liguori con la fascia costiera di San Pancrazio (Santu Francazio) e Cartaromana oltre le fonti e con il coinvolgimento pieno del Giardino delle Ninfe sottostante la Torre che la gente del luogo, senza turbe mentali, chiamerà poi Torre di S.Anna e Torre di Michelangelo. Ai contadini delle dette località si affiancavano anche alcuni pescatori della Marina del Borgo dal momento che la quaglia, una volta catturata avrebbe contribuito con la sua carne gustosa insieme alla pesca a sfamare tante famiglie. Aprile e maggio erano e lo sono anche oggi, i mesi forti della entrata delle quaglie. Luogo della loro cattura dalle parti del Borgo, era principalmente la zona costiera dell’antica Ninfea lungo tutta la fascia che termina alle fonti di Cartaromana. Sulle carte che testimoniano gli spaccati di vita vissuta degli abitanti di quelle terre, compare un nome che non fa mistero della specifica destinazione del luogo, Il nome storico era “parata delle quaglie” a significare praticamente che in quella zona, nelle tiepide albe di aprile ed ancor di più maggio, si verificavano le “entrate” a stormo intenso delle quagli, reduci dal lungo viaggio iniziato dai paesi caldi. In sostanza a Cartaromana come a San Pancrazio ed sulla vecchia spiaggia dei Maronti i cacciatori usavano poco il fucile. La rete messa ad arte per intrappolare la quaglia nella corsa verso i terreni cui era diretta, rendeva meno traumatizzate la fine del perseguitato volatile. Atro cacciatore impietoso nei confronti della quaglia è il falco che sull’isola annida in diversi posti con le sue “Falconare”. E così c’è il falcone che tiene la sua base ed il suo nido nella parete più ripida dell’Epomeo, il falcone della Scarrupata di Barano e quello di Monte Cotto, il falcone del promontorio di Punta Imperatore, ed ancora, andando intorno all’isola, troviamo coppie di falconi pellegrini o picchiaioli a Zaro, a Montevico e sul Castello Aragonese. Falconare insomma da tener d’occhio. Racconta Giuseppe Silvestro in un suo vecchio scritto sul falcone e la quaglia, “…È soprattutto nelle mattinate intiepidite dallo scirocco o dal levante che le quaglie vengono ai lidi d’Ischia, di Capri, di Ventotene, di Ponza, di Zannone. Giungono a gruppi, numerose od anche isolate, volando a notevole e costante velocità a solo qualche metro di altezza sulla superficie del mare, dalla costa è possibile scorgerle già in lontananza. Ma intanto occhi più acuti, quelli del falcone, già le hanno individuate liberandosi immediatamente in un volo alto per poi scendere in picchiata verso il mare di Citara, di Punta Caruso o dei Maronti. L’impatto è frontale ad altissima velocità, gli artigli del rapace colpiscono la quaglia che sembra esplodere in un nugolo di sangue e piume che poi lentamente si adagiano sul mare. Ed il falcone cacciatore, trattenendo con gli artigli il povero uccello, compie un largo giro per prendere quota e portarsi all’altezza giusta dalla quale puntare sul suo nido…”. Altro che rete e fucilate. La quaglia, poveretta, in questo caso, ha fatto la peggiore delle morti. Spesso al largo di Monte Vico a Lacco Ameno o nel mare aperto di Citara all’altezza di Punta Imperatore e Punta Caruso a Forio o addirittura al largo del Castello ad Ischia, è capitato che i pescatori isolani , che erano usciti in mare a tirar su le reti, tornassero a riva con qualche quaglia nel cassetto dei pesci. Il falco “assassino” non aveva riguardi, quando scendeva in picchiata per tramortire la quaglia al primo terribile impatto. Ma la “festa” alla quaglia i nostri cacciatori l’aspettavano un anno intero. L’arrivo di maggio per loro significava e significa ancora oggi tante cose: il culmine della primavera innanzitutto, la bellezza di poter godere delle tiepide albe di San Pancrazio,la Scarrupata, le marine di Cartaromana, dei Maronti e di Citara, i terreni solitari e dorati dal primo sole, di Campotese a Panza, di Piano Liguori, del Testaccio, della Siena, della Borbonica. Le località costiere venivano raggiunte con le barche prima a remi e poi a motore in gruppi di cacciatori non superiore a dieci quando la barca era più capiente, altrimenti il numero si riduceva al massimo a sei. Le località all’interno dell’isola dove la quaglia vi arrivava per trovare un rifugio più “sicuro” tipo Campotese a Panza per esempio, si raggiungevano con mezzi motorizzati proprio con mezzi pubblici. Si partiva di mattina prestissimo, all’alba, cantando e pregustando buona caccia con il carniere ricolmo. La quaglia per il cacciatore ischitano era fra gli uccelli preferiti insieme alla sua “cugina” la tortora che pure riempiva di orgoglio il cacciatore quando questi riusciva a farne fuori tante, senza far caso alla politica protezionistica degli animalisti ed ambientalisti.