Caos in Calabria, il Tar sospende l’attività venatoria ma la Regione dà il via libera. Il Wwf invia una diffida a Occhiuto

Nella battaglia giuridica sono le associazioni animaliste e ambientaliste ad avere ragione: in Calabria si è sparato, sino a oggi, in modo illecito. Ecco cosa è successo

Articolo – È caos in Calabria sulla caccia. Lo scorso novembre i giudici del Tar avevano accolto il ricorso di WwfLipu ed Enpa, stabilendo di anticipare la chiusura dell’attività venatoria, dal 30 al 9 di gennaio, per tre specie di volatili: tordo sassello, tordo bottaccio e cesena. Ma le modifiche di fine anno all’articolo 18 della legge 197/92 fatte dal centrodestra, in Parlamento, in sede di approvazione della legge di Bilancio, avevano fornito il pretesto alle Regioni – Calabria compresa – spinte dalle associazioni venatorie per aggirare le disposizioni del tribunale amministrativo. In sostanza la Giunta guidata da Roberto Occhiuto aveva dato il via libera ai cacciatori: sparate pure, gli aggiornamenti alla normativa sono retroattivi.

Ma ora il Tribunale amministrativo regionale ha ribadito l’ovvio: le modifiche alla legge sul prelievo venatorio non sono retroattive, la sentenza di novembre – sulla quale intanto c’erano stati due pronunciamenti favorevoli del Consiglio di Stato – è confermata. A questo punto il presidente del Wwf, Luciano Di Tizio, sostenuto da Lipu ed Enpa, ha inviato una lettera al presidente della Regione Calabria e al ministro all’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, invitando il primo (e diffidandolo, allo stesso tempo) “ad adottare ogni misura idonea a comunicare la vigenza del regime di divieto dell’attività venatoria alle specie tordo bottaccio, tordo sassello e cesena, in coerenza con quanto disposto dalla magistratura amministrativa”. Sottolineando, naturalmente, “che l’attività venatoria” a queste specie, cacciate in periodo di migrazione prenuziale, comporta “danni irreparabili al patrimonio faunistico tutelato a livello nazionale e sovranazionale”. In più, scrive il Wwf, qualora Occhiuto non intervenga per far rispettare il pronunciamento dei giudici, “senza ulteriore comunicazione ci riserveremo di adire le competenti autorità giudiziarie per ottenere il rispetto del provvedimento giudiziario” e “segnalare la situazione alla Corte dei Conti per la verifica di eventuali profili di responsabilità amministrativa e contabile, tenuto conto del danno ambientale ed erariale già realizzatosi a causa della illegittima prosecuzione dell’attività venatoria a partire dal 10 gennaio sino alla data odierna”.

Ciò che in tutta questa vicenda ha creato confusione – al di là della volontà della Giunta calabrese di favorire i cacciatori – è la modifica di fine anno voluta dal governo di Giorgia Meloni alla 157/92. Aspetto, questo, sostenuto dagli stessi praticanti della caccia sulle riviste di settore che sottolineano come, paradossalmente, l’incertezza normativa sia aumentata. Non a caso il Tar calabrese non è il primo a esprimersi in questo senso. Lo ha fatto il Tribunale amministrativo dell’Umbria, che aveva stabilito che le nuove norme, di carattere nazionale, non fossero applicabili alla stagione in corso, e l’avvocatura regionale delle Marche. Ma dove ha messo mano la maggioranza di centrodestra a Roma? La novità che riguarda i calendari venatori è compresa nell’articolo 18 ed è stata introdotta per limitare gli effetti dei ricorsi delle associazioni ambientaliste e animaliste e, dunque, il potere dei giudici amministrativi. Come? Diversamente da prima, qualora i giudici accogliessero le sospensioni cautelari (dell’attività venatoria) proposte dalle associazioni, la caccia andrebbe comunque avanti, come regolamentata dal calendario venatorio approvato dalla regione di riferimento, fino alla pubblicazione della sentenza definitiva. In pratica, il legislatore ha ritenuto più importante tutelare l’attività di caccia piuttosto che il rischio di danneggiare la natura, gli animali e la biodiversità (in teoria difesi dall’articolo 9 della Costituzione).

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