Il regime della caccia in deroga
Con la legge 11 febbraio 1992, n.157 è stata data attuazione nell’ordinamento interno alla direttiva 79/409/CEE del 2 aprile 1979 (ora direttiva 2009/147/CE), sulla conservazione degli uccelli selvatici.
L’articolo 5 della direttiva vieta, in linea di principio, di uccidere o di catturare tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo degli Stati membri a cui si applica il Trattato. L’articolo 7 prevede, tuttavia, che le specie elencate nell’Allegato II possano essere oggetto di atti di caccia, nel quadro della legislazione nazionale.
A tale regime limitativo è comunque consentito derogare da parte degli Stati membri, sempre che non vi siano altre soluzioni soddisfacenti, in casi particolari, tassativamente stabiliti, e nel rispetto di specifiche condizioni, volte a garantire che la caccia avvenga entro limiti precisi e in presenza di adeguati controlli.
Più specificamente, l’articolo 9 prevede che i singoli Stati dell’area comunitaria possano derogare ai divieti scritti negli artt. 5, 6, 7 e 8 della direttiva per le seguenti ragioni:
a) nell’interesse della salute e della sicurezza pubblica (ossia nell’interesse della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni alle coltura, al bestiame, ai boschi, alla pesca ed alle acque, nonché per la protezione della flora e della fauna) (lettera a));
b) ai fini della ricerca e dell’insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l’allevamento connesso a tali operazioni (lettera b));
c) per consentire, in condizioni rigidamente controllate ed in modo selettivo, la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità (lettera c)).
Le deroghe devono in ogni caso riportare:
– l’indicazione delle specie alle quali si applicano;
– l’individuazione dei mezzi, degli impianti e dei metodi di cattura o di uccisione autorizzata;
– le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono essere fatte;
– l’autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate, e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possono essere utilizzati, entro quali limiti, e da quali persone;
– i controlli che saranno effettuati.
Il quadro delle deroghe definito con la direttiva europea, che delinea anche un complesso sistema di tutela dell’avifauna, non ha trovato un’applicazione sufficientemente dettagliata con la legge n.157 del 1992 sulla caccia, dando così vita ad un lungo contenzioso con l’Unione europea per la mancata applicazione della normativa europea, accompagnato ad una serie di conflitti tra lo Stato e le regioni in merito alla titolarità del potere di disciplina delle deroghe, definitivamente risolto dalla Corte costituzionale (sentenza n.169 del 1999): detta sentenza ha sancito che la direttiva richiede, per la sua concreta attuazione nell’ordinamento interno, una legge nazionale che valuti e ponderi i vari interessi che vengono in rilievo.
A colmare il vuoto legislativo è intervenuta per prima la legge n. 221 del 2002, che ha introdotto l’articolo 19-bis nella legge n. 157, e successivamente la legge n.96/10 (legge comunitaria 2009) che ha apportato con l’articolo 42 modifiche all’articolo 19-bis, allo scopo di rispondere alle ulteriori contestazioni mosse all’Italia per l’attuazione data al regime europeo della caccia in deroga.
Attualmente la legge, nel rimettere alle regioni il potere derogatorio previsto dall’articolo 9 della direttiva n.79/409/CEE, richiede che le deroghe, in assenza di altre soluzioni soddisfacenti, debbano menzionare le specie che ne formano oggetto, i mezzi, gli impianti e i metodi di prelievo autorizzati, le condizioni di rischio, le circostanze di tempo e di luogo del prelievo, il numero dei capi giornalmente e complessivamente prelevabili nel periodo, i controlli e le forme di vigilanza cui il prelievo è soggetto e gli organi incaricati della stessa. I soggetti abilitati al prelievo in deroga vengono individuati dalle regioni, d’intesa con gli àmbiti territoriali di caccia (ATC) ed i comprensori alpini. Le deroghe sono applicate per periodi determinati, sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica (confluito ormai in ISPRA), o gli istituti riconosciuti a livello regionale, e non possono avere comunque ad oggetto specie la cui consistenza numerica sia in grave diminuzione.
Con le modifiche apportate dalla legge comunitaria 2009, è stato introdotto il termine di due mesi, entro il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri può annullare, dopo aver diffidato la regione interessata, i provvedimenti di deroga da questa posti in essere in violazione delle disposizioni della legge n.157 e della direttiva n.79; è stato anche previsto che i provvedimenti regionali di deroga, ferma la loro temporaneità, debbano rispettare le linee guida emanate con decreto del Presidente della Repubblica.
Infine, resta confermato che entro il 30 giugno di ogni anno, ciascuna regione debba trasmettere al Presidente del Consiglio, ovvero al Ministro per gli affari regionali ove nominato, al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, al Ministro delle politiche agricole e forestali, al Ministro per le politiche comunitarie, all’Istituto nazionale per la fauna selvatica (INFS) e alle competenti Commissioni parlamentari, una relazione sull’attuazione delle deroghe, sulla base della quale il Ministro dell’ambiente redigerà la relazione che lo Stato è tenuto a trasmettere annualmente alla Commissione europea sull’attuazione delle deroghe.
Recenti condanne della Corte di Giustizia UE
Talune procedure di contenzioso avviate presso la Corte di giustizia europea sono recentemente giunte a sentenza, rilevando ancora numerose infrazioni della direttiva 79/409/CEE, che per la gran parte sembrano poter essere superate dalle novelle approvate con la Comunitaria 2009, legge n. 96/2010. Per quanto attiene ai rilievi sull’applicazione dell’art. 9 della direttiva, sarà invece la concreta applicazione delle nuove disposizioni nazionali sulla cosiddetta caccia in deroga a rivelare la corretta applicazione della direttiva nella nuova stagione venatoria.
Con sentenza del 15 luglio 2010 la Corte di giustizia ha condannato l’Italia per essere venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 2-7, 9-11, 13 e 18 della direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
Secondo la Corte la normativa di trasposizione nell’ordinamento italiano della direttiva 79/409 (codificata con la direttiva 2009/147/CE) non è completamente conforme a tale direttiva e il sistema di recepimento dell’art. 9 di quest’ultima non garantisce che le deroghe adottate dalle autorità italiane competenti rispettino le condizioni e i requisiti previsti da tale articolo.
Il 22 dicembre 2008 la Commissione europea aveva presentato un ricorso alla Corte di giustizia dell’Unione europea (procedura n. 2006/2131, causa C-573/08), che seguiva la lettera di messa in mora del 10 aprile 2006 e il parere motivato del 28 giugno 2006. L’Italia era invitata a prendere i provvedimenti necessari per conformarsi al parere motivato nel termine di due mesi dal ricevimento di quest’ultimo. Mediante varie comunicazioni (del 31 agosto e 24 novembre 2006, 31 luglio, 27 settembre, 24 ottobre e 26 novembre 2007, 21 marzo 2008), nonché in occasione di vari contatti con la Commissione, l’Italia aveva annunciato modifiche legislative e regolamentari dirette a porre rimedio agli addebiti formulati dalla Commissione ma quest’ultima, ritenendo che l’Italia non avesse rispettato gli impegni assunti al fine di modificare la normativa contestata nel termine prescritto nel parere motivato, ha deciso il ricorso alla Corte.
Con ordinanza 10 dicembre 2009 il presidente della Corte ha ingiunto alla Repubblica italiana di sospendere l’applicazione dell’art. 4, n. 1, della legge regionale della Regione Lombardia 30 luglio 2008, n. 24, recante disciplina del regime di deroga previsto dall’articolo 9 della direttiva 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, in attuazione della legge 3 ottobre 2002, n. 221, come modificata per la stagione venatoria 2009/2010 dalla legge regionale della Regione Lombardia 16 settembre 2009, n. 21.
Confermando le valutazioni della Commissione, secondo il giudizio della Corte risulterebbero non recepiti, o trasposti in modo non conforme, i seguenti articoli della direttiva:
- l’articolo 4, par. 4 (misure idonee a prevenire, nelle zone di protezione, l’inquinamento o il deterioramento degli habitat): la normativa di trasposizione (artt. 4 e 6 del decreto n. 357/1997) predispone idonee misure di prevenzione atte ad impedire l’inquinamento e il deterioramento degli habitat riguardo alle zone di protezione speciale e non nei confronti degli habitat esterni a tali zone;
- articolo 9: recepimento non conforme a livello statale (i controlli di legittimità delle deroghe sono inefficaci e intempestivi); recepimento e applicazione non conforme a livello regionale (Abruzzo, Lazio, Toscana, Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Calabria e Puglia).Tra le motivazioni addotte, viene, in primo luogo, affermato che la normativa di attuazione dell’art. 9 della direttiva 79/409, e cioè l’art. 19 bis della legge n. 157/1992, istituisce un procedimento di controllo di legittimità delle deroghe a livello regionale «sostanzialmente inefficace e intempestivo». In secondo luogo, la normativa relativa ai prelievi venatori nelle regioni Abruzzo, Lazio, Lombardia nonché Toscana e i singoli provvedimenti che autorizzano i prelievi in dette regioni e nelle regioni Emilia Romagna, Marche, Calabria e Puglia non soddisfano i requisiti di cui all’art. 9 della direttiva 79/409 o, quantomeno, non li soddisfacevano alla scadenza del termine impartito nel parere motivato;
- articoli 2 e 13: non trasposte nell’ ordinamento giuridico italiano;
- articolo 3 (misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli selvatici una varietà e una superficie di habitat): recepimento non conforme derivato dal mancato recepimento dell’articolo 2, in quanto l’art. 1, n.5, della legge n.157/1992, non prevede che, all’atto dell’emanazione dei provvedimenti di cui all’articolo 3 della direttiva 79/409, le autorità competenti debbano tener conto dei requisiti menzionati all’art. 2 di quest’ultima;
- articolo 5 (misure necessarie per instaurare un regime generale di protezione di tutte le specie di uccelli selvatici): non sono recepiti il divieto di distruzione e danneggiamento deliberato dei nidi e delle uova nonché il divieto di disturbo deliberato degli uccelli protetti dalla direttiva in quanto gli artt. 2, n. 1, lett. b) e c), 3 e 21, n. 1, lett. o) e ee), della legge n. 157/1992, non prevedono alcun divieto di distruzione e danneggiamento deliberato delle specie di uccelli tutelate da tale direttiva;
- articolo 6 (misure riguardanti la vendita, il trasporto e la detenzione per la vendita): non è recepito il divieto di trasporto per la vendita in quanto l’art. 21, n. 1, lett. bb), della legge n. 157/1992 non vieta il trasporto per la vendita degli uccelli menzionati all’art. 1 della direttiva.
- articolo 7, par. 4: recepimento non completo: l’articolo 18 della legge n. 157/1992 non prevede il divieto di caccia durante il periodo di nidificazione e riproduzione, in particolare quando si tratta di specie migratrici; non risulta inoltre recepito l’obbligo di trasmettere alla Commissione le informazioni utili sull’applicazione pratica della legislazione sulla caccia;
- articolo 11: l’art. 20 della legge n. 157/1992 non prevede che la Commissione sia consultata nei casi di eventuale introduzione di specie di uccelli che non vivono naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo;
- articolo 18, n. 2: non avendo comunicato i testi delle leggi regionali emanate dalle regioni Lazio, Lombardia, Toscana e Puglia, la Repubblica italiana ha violato l’obbligo di cooperazione e di aggiornamento della situazione normativa interna.
Con sentenza 11 novembre 2010 la Corte di giustizia ha condannato l’Italia in quanto la Regione Veneto ha adottato e applicato una normativa che autorizza deroghe al regime di protezione degli uccelli selvatici senza rispettare le condizioni stabilite all’art. 9 della direttiva 79/409/CEE, venendo meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’art. 9 di tale direttiva.
Il 29 giugno 2006 la Commissione europea aveva deferito l’Italia (procedura 2004/4926, causa C-164/09) alla Corte di giustizia per violazione della direttiva 79/409/CEE da parte della legislazione regionale di Veneto. La normativa regionale del Veneto, infatti, non prevedrebbe alcun meccanismo di controllo nei casi in cui la cattura o l’uccisione di uccelli tutelati dalla direttiva sia autorizzata per motivi eccezionali. La Commissione ha ritenuto che la mancanza di tale meccanismo porti alla cattura e all’uccisione di un numero troppo elevato di uccelli.
In particolare, secondo la Commissione, la legge n. 13 del 2005 non rispetterebbe i requisiti sopraesposti in quanto:
– identifica in maniera generale ed astratta e senza limiti temporali le specie e le quantità oggetto della deroga;
– la deroga per specifiche specie di uccelli è indifferentemente prevista in base a un generico riferimento a tutti i casi elencati nelle lettere a) e c) dell’articolo 9 e senza motivazione adeguata circa le ragioni concrete;
– non prevede né la condizione relativa alla verifica della mancanza di altre soluzioni soddisfacenti né che i singoli provvedimenti di deroga debbano obbligatoriamente menzionare le condizioni di rischio, le circostanze di luogo e i soggetti autorizzati ad applicare le deroghe.
La Commissione ha ritenuto inoltre che gli atti adottati dopo lo spirare del termine impartito nel parere motivato del 10 aprile 2006 non solo non sanano i vizi già identificati, ma addirittura li riproducono nella sostanza. Si tratta in particolare del Decreto del Presidente della giunta regionale n. 140 del 20 giugno 2006, del Decreto del Presidente della giunta regionale n. 230 del 18 ottobre 2006, nonché della legge regionale n. 13 del 14 agosto 2008.
Con le due lettere la Commissione europea ha invitato l’Italia a trasmettere osservazioni entro due mesi, riservandosi il diritto di adire la Corte di giustizia, al fine di chiedere la condanna al pagamento di ammende e/o indennità di mora per il mancato adempimento delle sentenze sopra richiamate.
Il 24 novembre 2011 la Commissione europea ha inviato all’Italia due lettere di costituzione in mora, ai sensi dell’articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE) non avendo quest’ultima dato esecuzione alla citate sentenze del 15 luglio 2010 e dell’11 novembre 2010.
Analoga motivazione è alla base della sentenza 3 marzo 2011 della Corte di giustizia (causa C-508/09) con riferimento alla regione Sardegna.
Nel ricorso presentato alla Corte, la Commissione, che aveva inviato all’Italia un parere motivato il 10 aprile 2006 (procedura d’infrazione 2004/4242), sosteneva che la legge regionale n. 2 del 13 febbraio 2004 della regione Sardegna, che disciplina il prelievo venatorio in deroga, e i decreti 3/V del 2004 e 8/IV del 2006 adottati in base alla medesima legge regionale, non rispondono ai requisiti dell’articolo 9 della direttiva, in quanto, tra l’altro:
– il parere dell’organo scientifico viene richiesto solo alcune volte, e, se negativo, non viene rispettato;
– non vi è motivazione sufficiente e non vi è un sistema di controllo adeguato;
La legge n. 2 del 13 febbraio 2004, nonostante le successive modifiche, nonché il decreto n. 2225/DecA/3 del 30 gennaio 2009 non rispondono alle esigenze dell’articolo 9 della direttiva in quanto, tra l’altro, l’introduzione della consultazione dell’organo scientifico non impedisce l’adozione di atti di deroga carenti dal punto di vista della motivazione e della giustificazione, nonché l’adozione di atti di deroga addirittura senza il parere dell’organo scientifico.