La caccia sul Po con la spingarda
La spingarda è un’arma antica, viene dal Medioevo, eppure nei primi decenni del secolo scorso era il top per la caccia agli uccelli acquatici anche nel Piacentino
Articolo – Per chi vive sulle rive del Po, il fiume non è mai stato un confine, casomai un di qua e un di là. Tra i fiumaroli si ragiona così e ancor di più negli anni addietro, dove almeno fino agli anni Settanta la vita semplice scorreva via, come l’acqua del fiume, facendo della sponda piacentina e lombarda un tutt’uno. D’altra parte, le “basse” sono gemelle, cambia la sponda ma non l’ambiente: fiume, golena e argine maestro, barche “alla catena” e qualche pescatore (sempre più raro).
E allora abbiamo incontrato, proprio sulla sponda lombarda dopo una veloce traversata, Francesco Riboldi: medico veterinario in pensione, prima ricercatore presso il Cnr di Milano e ora storico del fiume, tra Corte Sant’Andrea, Senna Lodigiana e Somaglia, luoghi dei suo avi, della sua vita.
Grazie alla ricerca d’archivio ha dato alle stampe alcuni ottimi volumi di storia del secolo scorso legata al Po e quindi ne ha da raccontare. Molte s’intersecano con la sponda piacentina, in questo caso con quella di Calendasco, che con i suoi circa 20 chilometri di sponda comunale, accarezza tutta quest’area lombarda. E la colpa è di queste due grandissime anse ad ovest di Piacenza, che da oltre un millennio “meandrano” questa grande area con golene di dimensioni invidiabili.
Suo padre Enrico portava avanti una fattoria “in punta” a Somaglia, appena fuori dall’argine, un’area dove ci sono cascine storiche, citate in documenti del 1200 e dove tutt’ora c’è il porticciolo del Gargatano gestito dal figlio del mitico Docì. E’ una cronaca di vita: infatti il padre di Francesco Riboldi aveva stipulato una licenza di caccia particolare da praticare sul Grande Fiume, che svolgeva in sponda piacentina, pagando la tassa al comune di Calendasco, stiamo parlando degli anni del Dopoguerra.
Gli era stata concessa “di qua” un’area tra acqua e terra verso il Mezzano, poco prima della vecchia lanca, su questa sponda piacentina, con permesso “di uso spingarda e archibugio”. Quella postazione, lunga e stretta tra Po e sponda, diventava privata ad uso solo di chi pagava la concessione. La spingarda è un’arma antica, viene dal Medioevo, eppure nei primi decenni del secolo scorso era il top per la caccia agli uccelli acquatici anche nel Piacentino. La caccia si svolgeva con una battellina, di quelle strette, lunghe, tipiche e che solo uomini d’esperienza e di fiume sapevano far volare senza pericoli a pelo d’acqua, con un remo e un palo.
La tesa, ossia l’appostamento fisso, del Mezzano era a pochi metri dalla riva, distesi immobili: il “caccino” Canepari abitante a Valloria (che resta più o meno davanti a Cotrebbia vecchia) governava la battellina, il Riboldi disteso e pronto allo sparo con la sua spingarda. Questa è un vero e proprio “cannoncino”, lunga oltre 3 metri, fatto costruire appositamente ed adattato alla sua battellina, della ditta Beretta di Brescia, insomma un vero e proprio cimelio storico che ancora Francesco conserva e che ci mostra con orgoglio. La caccia sul Po si svolgeva tra settembre e marzo: le anatre erano il bottino ambìto, e infatti per gli appostamenti venivano piazzate diverse anatre in legno o in canne palustri, i cosiddetti richiami fissi.
La spingarda non scherza, quando parte il colpo, che arriva fino a circa 80 metri, lancia una rosa di pallini di piombo che non lascia scampo. Un caso rarissimo fu quando riuscirono a “spingardare” un numerosissimo gruppo di anatre, episodio passato alla storia famigliare, con un colpo abbatterono oltre 20 esemplari. Intanto dall’alto dell’argine maestro lombardo, tra il fogliame delle piante in lontananza, scorgiamo (quasi con stupore) il corpo e il campanile della chiesa di Calendasco. Davvero due mondi “della bassa” vicini, qui sotto ad un sole estivo che picchia a martello, eppure siamo immersi in una florida e lussureggiante campagna.
La caccia e la pesca si praticavano prettamente sulla sponda di Calendasco perché le condizioni naturali del fiume attiravano stormi di anatre e non a caso le mappe del tardo 1500 ci mostrano “l’isola dei germani” (il germano reale è un’anatra tra le più ambite) e che era gelosa proprietà dei frati di San Sisto di Piacenza. La caccia sul Po era praticata non per hobby ma per imbandire la tavola, tutto finiva nelle mani delle razdore di casa, padrone indiscusse della cucina. Una storia da mondo piccolo, tra le sponde del Po che si guardano, identiche, dove ancora si narrano storie che hanno un calore ed un colore guareschiano, dove tutto fila via liscio. La barca ci riporta lenta da ldi là verso il di qua e ci sembra d’esser stati attori di una scena mai vista nei film di Don Camillo.