Selvaggina: le carni migliori, i piatti più leggeri, le ricette
Il sapore di ‘selvatico’ non piace a tutti, ma con qualche buon consiglio anche a casa si possono realizzare piatti raffinati e non pesanti. Abbiamo chiesto al bistellato Antonio Guida, uno dei maestri sul tema, come fare
Maurizio Bertera – I luoghi comuni sulla selvaggina sono tanti, ma pian piano stanno sparendo (per fortuna). Molti, del resto, hanno avuto un approccio sbagliato fra trattorie che propinavano piatti casalinghi che sapevano terribilmente di ‘selvatico’. Oggi, la situazione è ben diversa: persino chi non la ama particolarmente si è accorto del salto di qualità nei ristoranti che a fianco delle preparazioni classiche – quasi tutte di origine francese, spesso antica – propongono piatti a base di una materia prima sana, poco calorica, ben diversa dalla carne di animali allevati con metodi intensivi. E i nutrizionisti approvano perchè la selvaggina ha carni gustose, pochissimi (o niente) grassi, scarso colesterolo. Tante proteine, per di più buone.
MENU CULT – Antonio Guida, executive chef del Mandarin Oriental Milano, è uno dei maestri della selvaggina. Il suo degustazione al bistellato Seta – in arrivo a fine ottobre- è ‘cult’ per i gourmet. E ha un’idea chiara sul ritorno in auge del tema “Alle marinature e alle carni stracotte di un tempo si è sostituita la preparazione espressa, la cottura a basse temperature o sottovuoto, spesso differenziata tra singole parti dello stesso animale. Le vecchie ricette non tramontano e non tramonteranno mai, ma vengono interpretate in una nuova veste, sempre stimolante sul piano del gusto ma adatta a ogni palato. Negli ultimi anni, per esempio, ho notato sempre più signore, da sempre con una certa idiosincrasia sulla selvaggina apprezzare i miei piatti”. Del resto, la selvaggina è storicamente trasversale: tradizione nell’Italia rurale che per secoli ha avuto i migratori come unica fonte di proteine (tordi, anatre, beccacce, quaglie, starne, pernici, fagiani… ), scorta per l’inverno in montagna (camoscio e capriolo), portata principale per banchetti luculliani a base di cervi e cinghiali.
Un grande piatto di Antonio Guida: Chartreuse di verza farcita con capriolo, scorzonera e salsa suprema
SI E NO – Si può cucinare la selvaggina a casa? Assolutamente sì, come dice Guida, ma con dei distinguo. “Se non si è esperti sul tema, meglio lasciare perdere pernici, beccacce e piccioni che obiettivamente non sono semplici da trattare, ma per il resto via libera. In generale, vanno previlegiate le cotture rapide, ricordando sempre che sono carni magre e rischiano di bruciarsi– e non bisogna pensare a piatti da ristorante con numerosi elementi: ne bastano due, insieme al taglio scelto. Per cucinare bene la selvaggina occorrono sicuramente delle padelle con l’esterno in rame e l’interno in acciaio nonchè quelle in ghisa, tipo le Staub. Errore da evitare: mai utilizzare carne fresca, bisogna aspettare cinque-sei giorni di frollatura sennò il sapore si altera”. Ora qualche consiglio sulle singole carni.
Fagiano ripieno: il piacere di creare una farcia golosa
CONSIGLI – Per esempio è meglio il cinghialetto del cinghiale. “Nel mio periodo in Toscana ho imparato ad amare la carne dell’animale più piccolo, che è meno selvatico. Anche qui sono ideali cotture veloci, per un filettino abbinato a sedano rapa e castagne cotte. Dei cavolini di Bruxelles sono perfetti per decorare mentre il tocco in più sono dei confetti di Sulmona tritati, che danno la nota croccante e dolce”. Poi che la lepre è complicata: meglio lasciare perdere le grandi preparazioni come la Royale, adatte a professionisti o bravissimi dilettanti. “Le cosce e il filetto sono molti buoni, cotti in padella con un pizzico di cannella. Poi libertà all’abbinamento: una salsa di funghi ‘acidulata’ , una crema al tartufo, delle semplici verze che ora sono al massimo”. Invece il fagiano con un ripieno ‘giusto’ è perfetto da cuocere intero nel forno, dai 25 ai 40 minuti a seconda della grandezza. “Il ripieno che amo di più è composto da una piccola bacca di vaniglia, mezzo spicchio di arancia, bucce di lime, sale, timo, uno spicchietto d’aglio. Si fa riposare dieci minuti, si separano le parti e si riscaldano in padella. Servite con topinambur saltati ed erbette selvatiche sono una delizia”, spiega lo chef.
Il capriolo si presta a una cottura veloce, per non perderne la morbidezza
I VINI – Cambiamo fronte ed eccoci al capriolo: le ricette tradizionali (salmì, in umido, in ragù) richiedono lunghe cotture. Ma Guida ha un’altra visione: “Il top a casa può essere un filetto o un controfiletto, molto morbido, che con una cottura veloce diventano squisiti. Anche il cosciotto, cotto con grande attenzione, è un signor piatto”. Il germano che ha una carne più delicata di quell’anatra, è spesso sottovalutato.”Un’ottima ricetta è quella dove si prepara una farcia con le cosce tagliate a coltello, un tocco di tartufo e cognac: la si fa riposare almeno sette-otto ore e si mette all’interno del petto. Si ‘lega’ con delle foglie di verza sbollentate e schiarite, poi si cuoce in padella”. L’ultimo consiglio lo diamo noi: come sempre libertà di gusto, ma la selvaggina – ben preparata – richiede vini importanti, sostanzialmente rossi. Ma niente impedisce, che un piatto a base di germano possa essere gustato con un Chardonnay potente. Regola base: piatti ‘di peso’ con vini robusti, invecchiati e potenti (Barolo, Taurasi, Aglianico…), piatti ‘leggeri’ con vini non invasivi, più vivaci e raffinati (Chianti, Brunello, Barbaresco…). Si generalizza, sia chiaro.