Babboo…la Lepre!!!
Articolo di Marco Nannoni
“Qui in paese c’era un cacciatore molto miope. Aveva gli occhiali con delle lenti così spesse che i suoi occhi sembravano circondati da tanti anelli bianchi come quelli di Anacleto, il gufo di Mago Merlino”.
“Quello della Disney?”
“Sì!… Preciso!”
“Uuuh!?… Fermo, fermo… allora non è mica lo stesso che la mattina a buio, quando era dentro al capanno e stava guardando se si posava il primo uccello gli si fogò la civetta? “
“Davvero! Era proprio lui. Non mi ricordavo di averti già raccontato questo episodio… Era in attesa di vedere se a bruzzico si posava un qualche merlo sulla quercia e all’improvviso gli si avventò una civetta che gli portò via gli occhiali”.
“ Ma gli ritrovò?”.
“Sì, sì! Quella civetta si comportò come una gazza ladra. Aveva visto brillare qualcosa e si era avventata per ghermire quella strana preda, ma li rilasciò subito perché caddero appena fuori dal capanno.”
“Forse lo aveva preso per davvero per un gufo e cercava di difendere il proprio territorio da quell’intruso.”
“Ma non finì mica lì, sai. La sera lo raccontò al bar e ci fu subito uno che colse la palla al balzo per fargli un bello scherzo. Prese la civetta imbalsamata che usava per la caccia alle allodole e andò a sistemarla sul ramo di una quercia che era dietro, poco lontana dal capanno. Lui non poteva vederla e, per due o tre volte, non riuscì a capire come mai gli uccelli dentro le gabbie svolazzassero impauriti e non cantassero… Però, poco dopo, quel mattacchione la tolse perché prima o poi quello del capanno se ne sarebbe accorto, e siccome sapeva che non erano in molti ad avere una civetta imbalsamata gli sarebbe stato facile risalire al proprietario… conoscendolo, poteva succedere qualche guaio… Dunque: questo tizio era anche un grande appassionato per la lepre. Il fatto è che nessuno lo voleva nella squadra e così dovette arrabattarsi a cacciarle da solo col proprio cane.”
“Da soloo?… Poveretto!… Mi immagino con quali risultati.”
“Già!… Meglio di nulla, marito vecchio… Poi, quando il cane morì, non gli rimase che appostarsi nelle vicinanze di quei passaggi strategici dove sapeva che ci sarebbe stata una qualche possibilità di sparare a una lepre. Suo figlio aveva sì e no quindici anni e voleva andare sempre a caccia con lui ma, una volta a caccia, non faceva altro che brontolare perché, con la scusa che i su’ babbo ci vedeva poco, avrebbe voluto tenere sempre lui il fucile per sparare a tutto quello che capitava a tiro. Una volta stavano camminando lungo una vigna che confinava con un campo di stoppie. L’uomo guardava tra un filare e l’altro con la speranza di sparare a un fagiano o una lepre. Poco distante dalla vigna c’era una bella quercia solitaria. Arrivati a una trentina di metri il ragazzo disse a bassa voce: “Babboo!… Dammi il fucile… un merlo è volato dalla vigna sopra la quercia.” – “La quercia? Quale quercia?” – “Ma come quale quercia? C’è un solo albero nel raggio di duecento metri e mi chiedi quale quercia? Non siamo mica in un bosco!… Dammi il fucile che te lo faccio vedere io dov’è il merlo… Nooo!… Buona notte… guarda come se la fila via tranquillo… vedrai che se si continua di questo passo a casa non si porterà mai nulla.” – Il poveretto capiva che suo figlio aveva ragione, ma non aveva la minima intenzione di mollare. Una volta si erano appostati in cima a una strada in salita, vicino a una vigna, con la speranza che con tutti quei cacciatori e quei cani che c’erano in giro potesse arrivare una lepre, ed erano lì, in paziente attesa, da un paio d’ore. Senza mai perdere di vista la strada il ragazzo teneva d’occhio anche i movimenti di quei cacciatori che riusciva a vedere e a bassa voce faceva la radiocronaca a i’ su’ babbo che voleva sapere tutto quello che accadeva. A un certo punto il ragazzo bisbigliò: “Babboo… la lepre!” – “La lepre? Come la lepre?… Dove?” – “È uscita da un filare… viene su a balzelli.” – “Non ti muovere e parla piano… che viene verso di noi?” – “Sì… tra poco è quasi a tiro.” – Ti lascio immaginare: quando una lepre fiuta un pericolo la prima cosa che fa, si ferma.”
“Per forza! Ha un udito così fine che c’è addirittura questo detto: L’orecchio della lepre sente l’erba crescere.”
“Infatti anche quella si era seduta e si era messa a roteare le orecchie, poi era ripartita di scatto. Il ragazzo gridò: “Babboo!… Sparaa!” – Lui sparò, ma sollevò soltanto un gran polverone dalla strada perché la lepre, con un balzo laterale, era schizzata al sicuro nella vigna. Il ragazzo non credeva ai propri occhi: “Ma come? L’hai fallita? Quella era di già nel tegame.” – Non ti dico cosa successe dopo. Il ragazzo dava in escandescenze mentre l’altro cercava di difendersi ripetendo che se non avesse gridato a quel modo la lepre avrebbe continuato ad avvicinarsi e che l’avrebbe colpita di sicuro. Uno dei cacciatori della squadra che aveva sciolto i cani nella vigna aveva sentito sparare e stava correndo affannosamente verso di loro per impedire che qualcuno cercasse di impossessarsi di una lepre che come sai, per una regola non scritta, dopo il giorno dell’apertura appartiene ai proprietari dei cani che stanno cacciando. Mentre correva la intravide nella vigna, sparò, ma la fallì. Attirati dagli spari anche i cani stavano arrivando di gran carriera da varie direzioni e abbaiando furiosamente. Forse la lepre si sentì “circondata”, fatto sta che tornò indietro. Proprio in quel momento il ragazzo era riuscito ad agguantare il fucile, ma non poteva immaginarsi di veder passare di nuovo la lepre e per recuperare l’attimo di incredulità sparò quasi senza mirare. I’ su’ babbo, che non si era reso conto a cosa avesse sparato, iniziò a fargli un monte di domande… Ma il ragazzo non rispondeva. Incredulo seguiva con gli occhi quella lepre che in pochi istanti si era beffata di tre cacciatori. Pochi attimi dopo arrivò il cacciatore e anche lui dovette accontentarsi di stare a guardare la lunga corsa della lepre attraverso il campo. Quando fu vicina a una oliveta ci fu uno sparo, la lepre fece una capriola e rimase in terra a scalciare per pochi istanti, a vuoto, nell’aria… Io non stavo più nella pelle dalla contentezza. Era il mio primo anno di caccia. Mai e poi mai avrei immaginato di centrare una lepre in piena corsa. Figurati! Mi ricordo che in tutto quell’anno, sparando a volo, feci scendere soltanto otto uccelli. Lo so: c’è da fare il viso rosso, anche perché non sapevo nemmeno come avessi fatto a colpirli… Era una lepre enorme. Tenendo l’avambraccio in orizzontale, così, con il gomito al fianco, fregava le orecchie per terra… Poi sentii arrivare i cani. Mi voltai e vidi che dietro di loro, molto più lontano, c’era un cacciatore che arrancava a fatica e che ogni pochi passi cercava di ricominciare a correre. Mi franò il mondo sotto ai piedi. Rimasi lì, fermo e imbambolato, ad aspettarlo. Quando fu vicino lo riconobbi. Mi disse che quella lepre era sua perché stavano cacciando nella vigna. – “Gimb… Gilberto!… Se avessi visto i cani non avrei sparato. Ecco la lepre. I’ mi’ babbo mi ha spiegato come ci si deve comportare in questi casi. Ho sparato con questa corazzata e dovresti restituirmene una.” – “Ma che scherzi? Questo si fa con chi non si conosce… fra di noi c’è ben altro.” – La prese, e dopo avermi fatto un monte di complimenti se ne tornò indietro con i cani che uggiolavano festosi, e che a ogni passo cercavano di azzannare quella povera lepre. Ci rimasi come un allocco. Mi ero comportato lealmente, ma non mi sembrava che lui avesse fatto altrettanto. Ti dirò: per un attimo pensai di essere stato preso in giro e guardai con un certo disappunto verso l’oliveta dietro di me. Se avessi preso la lepre e mi fossi infilato di corsa lì dentro sarei diventato uccel di bosco. La sera dopo, quando tornai dal lavoro, la mi’ mamma aprì il frigorifero e tutta raggiante tirò fuori un vassoio con sopra una mezza lepre arrotolata con gran cura, già spellata, pulita e con un bel rametto di ramerino adagiato sopra le costole. – “Questa te l’ha portata i’ “Gimbe”, è la metà con la testa, ti ci ha messo anche il cuore e il fegato… ha detto che spettano di diritto a chi ha fatto fare capo e culo alla lepre.”