Un protocollo salva biodiversità che riconosce le attività venatorie come quelle agricole
Presentato da AB-Agrivenatoria Biodiversitalia, Coldiretti, Federparchi e Fondazione Una. Tra gli obiettivi, sviluppare la filiera della selvaggina
Articolo – Uno dei temi più discussi del momento, in agricoltura, riguarda il numero dei cinghiali e le conseguenze che gli ungulati causano al settore agricolo. Una novità adesso arriva con il protocollo salva biodiversità per la qualificazione dell’attività faunistico-venatoria, presentato da AB-Agrivenatoria Biodiversitalia, Coldiretti, Federparchi e Fondazione Una, firmato nell’evento “Custodi della Biodiversità”, con il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida.
Tra gli obiettivi ci sono quelli della tutela della biodiversità con la gestione della raccolta dei frutti spontanei come funghi e tartufi, lo sviluppo della filiera delle carni di selvaggina, la promozione del turismo, da difesa dagli incendi e il riconoscimento delle attività faunistico-venatorie al pari delle attività agricole ai fini del mantenimento degli ecosistemi, della fauna e della flora selvatiche e dei servizi offerti con i piani di prelievo autorizzati. Lo scopo è quello di definire una nuova posizione per le aziende faunistico-venatorie in Italia, attraverso proposte di aggiornamento delle normative che regolano il settore per agire in maniera coordinata sulle cause che stanno portando alla riduzione della biodiversità che caratterizza il nostro paese e alla ridotta produttività delle attività agricolo-faunistiche. In questa direzione il Dipartimento dei Vigili del Fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile e AB Agrivenatoria Biodiversitalia (AB), hanno avviato una serie di interlocuzioni per una collaborazione che prevederà, tra l’altro, una sinergica attività di funzioni rivolte agli imprenditori agricoli in tema di sicurezza ambientale e sviluppo delle più innovative tecniche per la protezione dal rischio incendi.
Il presidente AB-Agrivenatoria Biodiversitalia, Niccolò Sacchetti ha esposto, nell’evento, al Ministro Lollobrigida le cinque tematiche sulle questioni cruciali per la sopravvivenza del settore agricolo-faunistico. Si va dalla qualificazione dell’attività faunistico-venatoria in coerenza con l’ordinamento europeo, attraverso il riconoscimento delle attività faunistico-venatorie al pari delle attività agricole ai fini del mantenimento degli ecosistemi, della fauna e della flora selvatiche e dei servizi offerti con i piani di prelievo autorizzati. Ed ancora, la gestione della raccolta dei frutti spontanei (tartufi, funghi ecc) all’interno delle aziende faunistiche, attraverso l’attribuzione ai titolari di queste ultime dei diritti e degli obblighi di gestione, cura e controllo, imposti dalla normativa ad un imprenditore agricolo. Tra i punti anche quello della creazione di una normativa nazionale per la filiera delle carni di selvaggina, al fine di tutelare, sia da un punto di vista commerciale che gastronomico, il ruolo di rilievo e di rappresentatività del forte legame che queste carni hanno con le tradizioni alimentari regionali e nazionali oltre a creare economia e generare lavoro, soprattutto nelle aree interne del Paese. Tra i temi elencati rientra il favorire la fruizione dei servizi offerti dagli istituti faunistici anche attraverso lo sviluppo del turismo in molte regioni italiane e la necessità di predisporre l’automatismo dei rinnovi delle concessioni per i titolari delle aziende del settore al fine di garantire continuità operativa.
Il ruolo delle aziende faunistiche è stato riconosciuto da Coldiretti. Secondo il presidente Ettore Prandini sono “una componente strategica per tutelare la biodiversità dei territori creando al tempo stesso opportunità di sviluppo e di reddito all’interno delle filiere e contribuendo a controllare l’espansione incontrollata della fauna selvatica che tanti danni causa all’ambiente e all’uomo”. Sul fenomeno degli ungulati, “nelle città molti abitanti sono costretti a vivere nella paura, nelle campagne la presenza dei cinghiali ha già causato l’abbandono di 800.000 ettari di terreni fertili che oggi, oltre a non essere più produttivi, sono esposti all’erosione e al dissesto idrogeologico. Senza dimenticare che è a rischio anche l’equilibrio ambientale di vasti ecosistemi territoriali in aree di pregio naturalistico con la perdita di biodiversità sia animale che vegetale”.
Maurizio Zipponi, presidente Fondazione Una, realtà impegnata nella tutela e nella gestione della natura, sull’opportunità di creazione di una normativa che regoli la filiera della carne di selvaggina, che generi economia ed occupazione nelle aree interne la pensa così: “la creazione di una normativa nazionale che armonizzi gli attuali regimi regionali di gestione della filiera delle carni di selvaggina permetterebbe alle aziende venatorie di generare economia e reddito nella piena salvaguardia della salute pubblica, grazie ai sistemi di tracciabilità e i controlli di carattere igienico-sanitari. Fondazione Una sta già sperimentando le possibilità offerte dalla creazione di una filiera riconosciuta e sostenibile per la carne di selvaggina grazie al progetto “Selvatici e Buoni” concretizzatosi in Lombardia e in procinto di estendersi ad altre regioni italiane”. Il presidente Fondazione Una Zipponi ha aggiunto che “con la nascita di AB, finalmente, il mondo degli imprenditori degli istituiti faunistico-venatori privati avrà una voce autorevole ed ascoltata”.
“Il sistema italiano delle aree protette – sono le parole del presidente Federparchi, Giampiero Sammuri – ha come missione prioritaria la conservazione della natura e la tutela della biodiversità. A tale obiettivo si affianca quello della promozione di modelli di sviluppo sostenibile e i parchi sono stati, soprattutto negli ultimi trenta anni, degli incubatori di sostenibilità. La filiera agroalimentare, insieme a quella del turismo, è sicuramente il comparto più avanzato che fa delle aree protette un avamposto per uno sviluppo compatibile con l’ambiente naturale. Produzioni agricole ed alimentari di qualità costituiscono la nuova frontiera per la valorizzazione delle eccellenze dei parchi e un ulteriore salto in avanti dell’intero comparto”.